JESI – Dentro ai locali di via Pastrengo a Jesi, dove ha sede il Centro Studi Libertari Luigi Fabbri, c’è un tesoro. Un patrimonio culturale e letterario autogestito che racconta storie: storie di vita, di impegno sociale, storie di quel che eravamo e di chi siamo oggi.
Verrebbe da dire che i ragazzi annoiati, vittime di una società che va troppo veloce, rapida nel condannare senza processo, dovrebbero andare a conoscere questa realtà. Non solo perché il Centro Studi ospita un archivio-biblioteca immenso con circa diecimila tra volantini, documenti, giornali e manifesti, e circa 9mila titoli di libri (non copie, ndr), ma anche perché la ricchezza sono le persone che lo tengono in vita.
Giordano Cotichelli è uno di questi: «La storia del Centro Studi nasce a metà degli anni Ottanta, riprendendo il nome del Circolo Studi Sociali Fabbri nato dopo la Liberazione. A Jesi gli Anarchici sono una presenza forte: Il Martello, primo giornale internazionale, datato 1876 (alcune copie sono conservate nell’archivio, ndr) in cui scriveva Errico Malatesta, è stato stampato a Fabriano e a Jesi. Non va dimenticato il contesto di tutta l’Italia centrale in quegli anni: il proletariato urbano stava nascendo, artigiani e mezzadria». Forte la presenza anarchica in città: «Al primo consiglio comunale del ’44 – racconta – c’erano due anarchici. Uno era Attilio Santoni, falegname che assieme ad un repubblicano e ad un comunista (o anarchico anche lui? Chissà!) avevano issato la bandiera rossa sul Duomo dopo la proclamazione della Repubblica Spagnola nel 1931». Per quel fatto, un altro anarchico, Vittorio Civerchia, si fece cinque anni di confino a Ventotene, dove c’era Pertini.
Dagli anni Ottanta ci si è impegnati a ridare vita al circolo su diversi fronti: «Sostegno delle lotte a livello territoriale: L’Interporto, la Turbogas, la difesa della sanità pubblica, delle mense scolastiche e alle lotte studentesche solo per dirne alcune. La ricostruzione della memoria storica e sociale: nel 1946 il Centro Studi di allora ha organizzato un concorso di poesia in vernacolo, significa essere presenti a livello sociale con una forma ante-litteram di manifesto sociale. Un altro esempio di quel senso di appartenenza che oggi non c’è più: il 30 aprile 1945, momento storico ancora instabile, si è portato al Teatro Pergolesi lo spettacolo “Primo Maggio” scritto da Pietro Gori, i cui proventi erano stati destinati al Comitato di Liberazione Nazionale. Socialità e solidarietà: sono stati fatti concerti per solidarietà ai disertori jugoslavi, agli antimilitaristi, a favore dei profughi siriani e degli operai rimasti senza lavoro».
Il padre di Giordano, Luigi, fu detenuto alla Carcerette perché disertore: arruolato in aeronautica nel 1942, dopo tre anni, a Napoli, a guerra finita, stanco decide di firmarsi una licenza falsa e di tornare a casa dove viene preso e carcerato. Mezzo secolo dopo in quella struttura troveranno una sede gli anarchici jesini. Quella attuale, in via Pastrengo era la prima scuola industriale intitolata a Mussolini.
È qui che è conservato un immenso patrimonio letterario: «Partiamo dal presupposto che tutti i libri meritano rispetto quindi abbiamo conservato un po’ di tutto non solo libri sull’anarchia. Il materiale deriva da acquisti propri, o frutto di donazioni o recuperato da archivi storici. I volumi (custoditi in doppia fila) si dividono in più sezioni: Saperi, dall’internazionalismo alle lotte delle donne, passando per le scienze umane, la filosofia, la pedagogia. Una sezione dedicata al locale, da Jesi alle Marche in generale. La sezione Anarchica con giornali, bollettini e riviste, alcuni pezzi rari. La sezione Ottorino Manni, la più antica, che recuperata da Senigallia. In ultimo la Biblioteca circolante: chiunque può venire e prendere un libro, riportarlo, scambiarlo o tenerselo per sempre senza darci nulla in cambio». Tutti i sabato pomeriggio.