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Omicidio Tavullia, il reo confesso: «Ho difeso me e la mia famiglia, non sapevo di averlo ucciso»

Interrogatori di garanzia in aula. Gli altri due arrestati hanno un'altra versione. Sarebbero scesi dall'auto solo quando Dritan era a terra nel sangue per recuperarlo

PESARO – Regolamento di conti di Tavullia, le verità opposte dei protagonisti in aula.

Storie tese che partono da lontano e arrivano alla sera del 7 agosto quando perde la vita Dritan Idrizi, 37 anni, all’anagrafe Dritan Xhepaxhiu, colpito da 4 coltellate.
Artur Cerria, 37enne albanese residente a Tavullia, è accusato di omicidio. Hanno dato la loro versione anche G. Q., 28 anni cameriere residente a Cattolica e A. S., 54 anni, residente a San Giovanni in Marignano, meccanico a Cattabrighe, in carcere con l’accusa di lesioni gravi. Questi ultimi hanno accompagnato Dritan per la resa dei conti con Cerria.

Assistito dal legale Marco Defendini, in co-difesa con Matteo Mattioli, Cerria ha spiegato quanto accaduto: «Ho difeso mia moglie, mio figlio e me stesso. Idrizi ha colpito prima mia moglie e poi me con un martello. Cos’altro avrei potuto fare? Altri due stavano arrivando con le spranghe. Mi sono difeso altrimenti saremmo morti noi. Sono stato aggredito anche dagli altri due. Tutti e tre sono fuggiti credendomi morto a terra. Ho sentito gridare “ammazzateli tutti”, mi sono difeso evitando di essere ucciso e ho difeso la mia famiglia. Non sapevo neppure di averlo ucciso». Cerria ha rimediato 40 giorni di prognosi per i colpi di martello ricevuti, ha estratto il coltello che portava con sè nel portachiavi.

Dall’altra parte, assistiti dal legale Piero Ippoliti Martini i due connazionali hanno detto semplicemente di aver accompagnato Dritan e di essere scesi dal veicolo solo quando hanno sentito le urla e visto Dritan a terra, colpito dai fendenti. Alla base del litigio un vecchio debito per la riparazione di un’auto, ma gli inquirenti scavano anche nel perimetro della droga, visto che le varie famiglie coinvolte hanno precedenti specifici.

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