ANCONA – La giornata internazionale della donna che si celebra oggi, domenica 8 marzo, è un’occasione per non dimenticare. È il simbolo della lotta di tante donne per l’emancipazione femminile, per le conquiste sociali, politiche ed economiche, per dire no alle violenze. Una battaglia che continua ancora oggi per far rispettare la donna in tutti i contesti: nel mondo del lavoro, delle professioni, nella società e nella famiglia.
Natascia Mattucci, docente di Filosofia Politica (UniMc), secondo lei, che significato ha oggi questa ricorrenza?
«Nel corso degli anni il significato dell’8 marzo si è modificato, anche a seconda delle istanze e delle urgenze che a livello globale e nazionale venivano avvertite dai movimenti delle donne dei singoli Paesi. Basti pensare ad esempio che, negli ultimi anni, la giornata dell’8 marzo si è legata a quella del 25 novembre, quindi al contrasto alla violenza sulle donne. Io credo che debba essere una giornata di bilancio, per sottolineare i progressi e le conquiste che ci sono state in ambito culturale, economico, politico da parte delle donne, e per mettere in luce le mancanze e la strada da continuare a percorrere».
È stato quindi importante stabilire, secondo lei, una giornata specifica, l’8 marzo?
«Sì, come la data del 25 novembre, ma bisogna sempre vigilare sul rischio di fare il punto della situazione o riflettere sui diritti delle donne solo nelle giornate internazionali».
Come celebrare la festa della donna?
«Credo che la questione importante non sia tanto preoccuparsi del moltiplicarsi delle iniziative che ci sono durante questa giornata, ma preoccuparsi di “come” le attività che si realizzano in queste giornate contribuiscono ad andare nella direzione del cammino del progresso delle donne stesse. Non si tratta quindi tanto di celebrare la peculiarità femminile, ma di fare un bilancio e capire se le azioni intraprese sono efficaci».
Cosa fare per affermare ancora di più i diritti delle donne?
«I diritti delle donne sono una conquista recente, ma hanno bisogno di cura e manutenzione nel tempo, non possiamo darli per scontati. Nel corso degli anni molto è stato fatto, ma c’è ancora bisogno di lavorare. Cura significa anche consapevolezza del percorso che ha portato questi diritti ad essere un patrimonio di quella rivoluzione, per certi versi anche silenziosa, delle donne che è iniziata il secolo scorso. Importante quindi anche la conoscenza della storia di questi diritti, proprio perché questi possano continuare nel tempo ad agire».
Quali tematiche femminili dovrebbero essere al centro dell’attenzione?
«Oltre al tema centrale contro la violenza sulle donne, credo sia importante capire in questa giornata che tutte le tematiche che riguardano le donne sono tra di loro interconnesse, ovvero la questione del lavoro che è connessa alla politica, alla sanità, etc. Non sono compartimenti stagni, da prendere singolarmente. Ad esempio nel campo del lavoro, se guardiamo all’Italia, è indubbio che dal punto di vista dei diritti certamente sono stati compiuti dei passi a partire dal secolo scorso, in particolare dagli anni ’70 ad oggi, però non ci si può fermare o accontentare, perché la vera questione lavorativa riguarda la possibilità della crescita professionale delle donne. Non basta fermarsi a guardare l’accesso al lavoro, ma considerare la differenza di crescita professionale che ci può essere tra un uomo e una donna. Allo stesso modo, nel mondo della politica, oggi una questione importante riguarda le difficoltà che continuano ad incontrare le donne, non tanto ad accedere, ma ad arrivare alle posizioni apicali, in cui possono dispiegare pienamente le proprie potenzialità».
Cosa fare per sviluppare una cultura della non violenza?
«La violenza maschile contro le donne non si risolve esclusivamente con le misure, seppur importanti, sanzionatorie. Il piano del diritto penale è importante, ma non è sufficiente. Questo lo dice la Convenzione di Istanbul che ha analizzato e individuato delle misure di contrasto: serve una risposta culturale di lungo periodo. La violenza può essere fisica, ma anche psicologica, economica e può riguardare diversi aspetti. Ecco che il piano culturale, educativo e linguistico che mettono al centro il rispetto delle donne, possono essere strumenti di contrasto alla violenza».
Bisogna fare attenzione anche al linguaggio.
«Certo, ad esempio nel mondo dei social, spesso viene utilizzato un linguaggio, a volte consapevolmente, a volte meno, che non è pienamente rispettoso delle donne. Ci sono anche parole e discorsi di incitamento all’odio che molto spesso hanno come oggetto le donne. Credo quindi che il discorso educativo vada fatto lavorando soprattutto sul riconoscimento: bisogna innanzitutto riuscire a riconoscere le situazioni di sessismo e di discriminazione, anche quando parliamo di sessismo nell’uso delle parole. Spesso certi discorsi non vengono riconosciuti perché magari ci si è abituati ad ascoltarli e invece è importante riconoscere le situazioni che lasciano le donne sullo sfondo. Questo è un lavoro che può essere fatto a livello educativo, nelle scuole, ma anche attraverso i mass media. Attenzione, dunque, e vigilanza sulle parole che utilizziamo. Anche quando si racconta la violenza nei confronti delle donne, c’è bisogno di una riflessione ulteriore sulle parole da utilizzare. È un lavoro di lungo periodo che chiama in causa tutti».
Le nuove generazioni riconoscono l’importanza dell’8 marzo?
«Credo che le generazioni più giovani siano attente ai diritti delle donne perché discorsi su questi temi vengono fatti ripetutamente. Le attività ci sono, ma la vigilanza a livello educativo deve riguardare sempre il “come”. Bisogna capire come vengono fatte le attività e se sono efficaci, cioè se aiutano ad esempio a riconoscere perché quando io riconosco un problema so come affrontarlo, ma devo innanzitutto saperlo riconoscere e individuare».