ANCONA – Nelle Marche, 760 madri lavoratrici hanno lasciato il lavoro durante la gravidanza o subito dopo la nascita di un figlio. A queste si aggiungono 146 padri lavoratori per un totale di 906 dimissioni nel 2015. Nell’86% dei casi si tratta di persone di nazionalità italiana (86%). I dati, forniti dal Ministero del Lavoro ed elaborati dall’IRES CGIL Marche, preoccupano in quanto, in una fase economica come l’attuale, quando un posto di lavoro è tanto prezioso, il fenomeno delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri non sembra volersi attenuare e, anzi mostra un’ampia crescita: +41% rispetto ai due anni precedenti.
Come abbiamo detto, 760 lavoratrici si sono dimesse “volontariamente” nei primi 3 anni di età del figlio convalidando le dimissioni alla Direzione Provinciale del Lavoro. Ad esse andrebbe aggiunto il numero, difficile da quantificare, delle mamme lavoratrici non tenute alla convalida delle dimissioni alla Direzione provinciale del lavoro e quello delle lavoratrici precarie per le quali la maternità significa spesso la perdita di ogni speranza di rinnovo del contratto. Va sottolineato, inoltre, come l’incremento del numero delle lavoratrici dimissionarie vada di pari passo con il calo delle nascite che nelle Marche è in continua diminuzione da anni: nel 2015 sono nati 11.904 bambini e cioè 729 in meno rispetto a 2 prima (-6%) e 2.733 in meno rispetto al 2008 (-19%).
Tra i motivi della decisione di lasciare il posto di lavoro, prevalgono le difficoltà di conciliare quest’ultimo con le esigenze di cura dei figli: ciò vale per 291 lavoratrici e lavoratori complessivi, pari al 32% del totale (percentuale in linea con quella nazionale). Tra le ragioni che hanno spinto alle dimissioni, c’è in primo luogo la mancanza di una rete parentale di supporto (156 lavoratrici e lavoratori, pari al 17% del totale), la mancanza di posti nell’asilo nido (75 lavoratori e lavoratrici, 8,3%) e gli elevati costi dei servizi di cura al bambino, quali asili nido e babysitter (60 lavoratrici e lavoratori, 7%). A fronte di 285 madri, solo 6 padri hanno lasciato la loro occupazione per esigenze di conciliazione tra il lavoro e famiglia, a riprova che il lavoro di cura è ancora quasi esclusivamente a carico delle donne. Significativo anche il numero di coloro per i quali è stata la mancata concessione del part time da parte dell’azienda, a rendere inconciliabile il lavoro con la genitorialità (5%). Si tratta in particolare di 46 lavoratrici e 1 lavoratore.
Vanno considerate anche altre 131 persone (tra cui un solo uomo) (15% del totale) che hanno lasciato il lavoro per dedicarsi interamente alla famiglia e in particolare alla cura dei figli, per un totale di 47% di lavoratrici dimissionarie che nel 2015 hanno optato per un esclusivo ruolo familiare. Rilevante anche il numero di coloro che ha dichiarato di lasciare il lavoro per passare a un’altra azienda: 150 persone (17%), ovvero, 87 lavoratrici e 63 lavoratori. «Da questi dati emerge come siano soprattutto le donne a decidere di lasciare il lavoro alla nascita di un figlio, e come le ragioni alla base delle loro dimissioni segnalino, spesso, la solitudine di troppe lavoratrici costrette a fare i conti con una rete di servizi inadeguata ai bisogni e i cui costi sono spesso troppo elevati per tante famiglie alle prese con le difficoltà economiche rese esasperate dalla crisi» osserva Daniela Barbaresi, segretaria della CGIL Marche.
Ma chi sono le lavoratrici che lasciano il lavoro alla nascita di un figlio? La maggior parte delle lavoratrici non è più giovanissima e ha un’età compresa tra 26-35 anni (58% dei casi) e tra 36-45 (30%), sostanzialmente in linea con la media nazionale. Il dato conferma l’età mediamente elevata alla nascita del 1° figlio. La maggior parte di coloro che lasciano il lavoro presenta le dimissioni dopo la nascita del primo bambino (63%); due figli (28%) o più (5%). Limitato, invece, il numero di coloro che lasciano il lavoro durante la gravidanza (4%). Nella maggior parte dei casi, e in misura superiore al dato nazionale, si tratta di lavoratrici con figli con meno di un anno di età. Le imprese dalle quali le lavoratrici provengono sono prevalentemente di piccole e piccolissime dimensioni, quasi sempre non sindacalizzate, e dove probabilmente è più difficile trovare risposte adeguate alle nuove esigenze di flessibilità richieste dalla nascita di un bambino: il 65% delle aziende che le donne lasciano quando nasce un figlio ha meno di 15 dipendenti (56% a livello nazionale) e il 16% ha tra 16 e 50 dipendenti.
Vi è un rapporto inversamente proporzionale tra le dimissioni e l’anzianità di servizio delle lavoratrici madri che si dimettono: il 51% di essi ha un’anzianità lavorativa inferiore a 3 anni e per il 38% l’anzianità va dai 4 ai 10 anni, percentuali di poco superiori a quelle nazionali. Nella quasi totalità dei casi, si tratta di lavoratrici con qualifiche operaie e impiegatizie. Le donne dimissionarie provengono principalmente dai settori dei servizi (39%) e del commercio (24%) seguiti dall’industria (20%). Per un significativo numero di lavoratrici non viene specificato il settore produttivo di provenienza. «Piccole e grandi aziende, pubbliche e private, e anche di livello nazionale, purtroppo appaiono accomunate dalla difficoltà a trovare, in accordo con la lavoratrice madre (raramente il lavoratore padre) quelle soluzioni di flessibilità, anche temporanee, che aiuterebbero la dipendente ad affrontare nella maniera migliore il suo doppio ruolo, di madre e lavoratrice» commenta la consigliera di parità, Patrizia David.
«È sempre più evidente la necessità che il diritto al lavoro possa realmente coniugarsi con quello alla maternità; per questo occorrono misure concrete e durature, frutto di una strategia complessiva che riconosca la centralità del lavoro delle donne con un sistema di infrastrutture sociali idoneo a rispondere ai bisogni delle madri, dei padri e dei bambini. Se da un lato la priorità è creare nuovi posti di lavoro, dall’altro, occorre mettere in condizioni chi il lavoro ce l’ha, di poterlo mantenere serenamente» afferma Daniela Barbaresi.