ANCONA – Nelle Marche abortire sta diventando un percorso ad ostacoli e la Legge 194 rischia di non essere applicata in alcune strutture pubbliche. La denuncia è arrivata nel corso della conferenza stampa che si è svolta sabato 11 novembre ad Ancona presso la sede di “Sinistra Italiana”. L’incontro ha visto scendere in campo le associazioni Luca Coscioni e il Comitato di Fermo, unite con gli schieramenti politici Radicali Marche, Sinistra Italiana, Partito Comunista Italiano, Rifondazione Comunista, Possibile e Articolo 1, per chiedere alla Regione Marche il rispetto dell’applicazione della legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG).
Un diritto, quello all’aborto, che in alcuni presidi ospedalieri delle Marche rischia di essere negato a causa dell’elevato numero di medici obiettori di coscienza, che sul territorio regionale è arrivato a toccare punte del 70%. Nel corso dell’incontro è stato denunciato, infatti, che in alcune strutture sanitarie pubbliche, come per esempio l’ospedale “Murri” di Fermo, a causa dell’alto numero di obiettori, il servizio dell’IVG non è garantito, in contrasto a quanto stabilisce la legge che impone alle strutture pubbliche di garantire l’accesso a questo servizio, anche attraverso la mobilità del personale. Un fatto che costringe alcune donne a spostarsi per eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza: su 1688 donne marchigiane che sono ricorse all’IVG nel 2015, oltre il 23% è andata fuori dalla provincia di residenza.
Nonostante dall’approvazione della legge siano trascorsi quasi quarant’anni, abortire in Italia è spesso difficile. Questo perché la legge consente ai medici di esercitare il diritto all’ obiezione di coscienza.
Ma cosa dice la legge? La 194 garantisce alla donna di poter ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione, “quando circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4)”. Ma la IVG è permessa dalla legge anche dopo i primi novanta giorni di gravidanza (art. 6) per motivi di natura terapeutica, ovvero quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, o quando siano presenti processi patologici, rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Altra problematica emersa, la situazione dei consultori che, come denunciano in una nota congiunta le associazioni e i partiti politici promotori dell’incontro «non svolgono la funzione per cui erano stati creati e cioè quello di assistere la donna in stato di gravidanza ma anche al ruolo di prevenzione, pianificazione familiare, educazione sessuale e contraccezione, anche perché sono diminuiti sia di numero che di servizi offerti». Anche qui la legge è piuttosto chiara: il secondo articolo è dedicato proprio al ruolo dei consultori familiari, istituiti dalla legge n° 405 del 29 luglio 1975, che hanno il “dovere di informare la donna in stato di gravidanza sui suoi diritti e sui servizi di cui può usufruire” e il compito di “suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi e di contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza”.
Affrontato anche il tema dell’aborto farmacologico-chimico con la pillola RU486: «In contrasto con quanto prescrive la legge – si legge nella nota – la Regione Marche non ha ancora autorizzato l’utilizzo di questo farmaco in tutto il territorio regionale, ma al momento solo in via “sperimentale” all’Ospedale di Senigallia».
Le associazioni e i partiti politici hanno predisposto una lettera-diffida firmata dai rappresentanti delle varie associazioni e partiti politici indirizzata al Presidente della Regione Marche, al Direttore Generale dell’ASUR e anche al Ministero della salute per chiedere la piena applicazione della legge 194, dando un termine di 90 giorni alla Regione per rispondere alle richieste, con riserva di intraprendere ulteriori azioni e non escludendo di adire per vie legali. «Auspichiamo che altre associazioni, comitati e partiti politici, vogliano aderire all’iniziativa o comunque attivarsi per chiedere il rispetto di questa legge 194/78 così importante per i diritti e la libertà delle donne», conclude la nota.