ANCONA – «Se non bevo che cosa faccio in piazza?». Sono le parole pronunciate da un ragazzino di 15 anni a colloquio con la psicoterapeuta dell’età evolutiva Francesca Mancia. Una frase comune a tanti altri adolescenti a testimonianza di un disagio sempre più dilagante, quello dell’abuso di alcol tra giovanissimi.
Parole che secondo la psicoterapeuta esprimono il concetto «che la serata non diventa significativa se non si coinvolgerà nei comportamenti senza meta di tipo maniacale che partono e trascinano il gruppo e dal gruppo.
Una dinamica di corto circuito senza vie di uscita – osserva – dove la regola è bere per potere apprezzare il vuoto di senso che sarà drammatizzato dal grande e piccolo gruppo».
Nelle Marche, come anche nel resto del Paese, si inizia a bere sempre più precocemente, già all’età di 11 anni. Gli adolescenti si accordano in chat per organizzare le serate incentrate sullo “sballo” che si svolgono principalmente nei fine settimana e le cui conseguenze approdano in alcuni casi nei pronto soccorso. Stando agli ultimi dati, quelli del 2019, pre-pandemia, sono stati 75 i ragazzi under 17 anni giunti all’attenzione dei sanitari con diagnosi attribuibile all’eccesso di alcol, mentre le ragazze sono state addirittura di più, 97, segno di un fenomeno che sta facendo sempre più presa anche tra le adolescenti.
Con la pandemia le cose non sono andate meglio, è cambiato piuttosto il canale di approvvigionamento delle bevande: gli acquisti sono lievitati per l’home delivery, il cosiddetto asporto, un canale che può sfuggire al controllo del divieto di vendita di alcolici ai minori. In Italia, secondo le ultime stime, le bevande alcoliche proprio in pandemia (2020) hanno conosciuto una diffusione vorticosa sul fronte dell’asporto, tra il 181 e il 250%, complice l’isolamento obbligato.
Nelle Marche, il consumo di alcolici tra i minorenni è in costante crescita, e il fenomeno si intreccia spesso con l’uso di sostanze stupefacenti, come la cannabis. Guardando ai numeri dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni in carico ai Dipartimenti di dipendenze patologiche, per consumo di droga e alcol, la fotografia scattata non è incoraggiante: nel 2019 erano 312, la quota maggiore per consumo di sostanze illegali. Ma c’è da dire che l’abuso di alcol rimane la maggior parte delle volte sotto traccia, anche se negli ultimi tempi sta iniziando a dare sempre più segnali della sua presenza.
Le manifestazioni visibili di questo disagio sociale, sono le risse, gli atti vandalici e i danni al patrimonio, fenomeni che proprio in questi ultimi tempi hanno registrato una escalation. Tra le abitudini più pericolose, c’è quella del binge drinking, la cosiddetta abbuffata alcolica che consiste nel bere sei o più bicchieri di bevande alcoliche o di superalcolici nella stessa serata alla ricerca dello “sballo”.
I ragazzini, «mi hanno spiegato che ubriacarsi serve a non soffrire di quei frangenti paradossali che dovrebbero attivare consapevolezza, morale e bisogno di limite – spiega la psicoterapeuta Mancia -. Non da ultimo ma per ultimo mi hanno spiegato che bere serve perché così obbliga il gruppo. Chi non beve non viene coinvolto, vi sarebbe come un non detto che tutti sanno e condividono circa il bere come fanno tutti. Il gruppo si fa branco e sta coinvolgendo anche i preadolescenti».
«Legato al fenomeno del bere molto per essere parte, per non avere schifo in discoteca, per poter avere molte storie in discoteca, per non “infamare” – aggiunge – , vi è la legge della funzione scatenante di molti live che lanciano guerre tra bande, reazioni a provocazioni, lotte per fatti mai accaduti che servono a far scattare lo scarico della rabbia.
Si rimane interdetti a ben vedere da una tale mole di “motivi vuoti”, violenza senza oggetto-scopo ma con la sola esigenza di mostrare potere. Una identità vuota, riempita ai margini di dispotismo aggressivo che dà una immagine estetica grottesca ma solo per chi non beve».
La psicoterapeuta evidenzia che «il fenomeno è esploso, è contaminante sia del maschile che del femminile. È regressivo a fasi anche molto vicine alla preadolescenza. Questi frangenti sono oggetto di video, di live, di tik tok, che rendono ancora più sproporzionata e distruttiva la dinamica».
Cosa possono fare le istituzioni? «Premetto che stiamo facendo molto tutti, – ci dice – vi sono tavoli tra professionisti, enti, istituzioni ma il fenomeno è ormai nazionale e ha un riverbero nazionale. I ragazzi si spostano verso città per bere ed attivare le stesse dinamiche. Mancano risorse rispetto alla frequenza. Alcuni luoghi sono presidiati sempre di più ma i ragazzi si spostano velocemente andando verso locali diversi. Credo si possa fare di più per controllare i locali in modo stabile. Alcuni locali sono noti per vendere alcolici e basta vedere la fila di minorenni fuori e la spola dei maggiorenni dentro per rendersi conto. Il rischio è che i ragazzi sfuggano al buon senso e costringono le istituzioni a divenire molto molto rigide a tutela della loro età minorenne».