Ancona-Osimo

Demenze senili, appello dell’associazione Alzheimer Marche alla Regione: «Fondi per caregiver e iniziative»

Riconoscere la figura del caregiver e il suo lavoro sostenendola con appositi fondi. È la richiesta che arriva dall'associazione, insieme a quella di implementare il numero dei centri diurni e i posti nelle Rsa dove i malati Alzheimer possono accedere solo dopo lunghissime attese

cura degli anziani, alzheimer, demenze

ANCONA – In Italia sono 1 milione le persone affette da varie forme di demenze senili e 600mila di queste hanno l’Alzheimer. La perdita di memoria e di altre abilità intellettuali è talmente grave nella malattia da interferire con la vita quotidiana non solo di chi ne è affetto, ma anche dei suoi familiari, che devono occuparsene 24 ore al giorno.

Anche se sono disponibili nuovi trattamenti capaci di rallentare temporaneamente la progressione della malattia, ad oggi il morbo di Alzheimer è ancora incurabile, nonostante gli sforzi sul fronte della ricerca. E la pandemia ha inciso ulteriormente su questi malati e sulle loro famiglie, accrescendone l’isolamento sociale e sensoriale, causato dal lockdown.

L’Associazione Alzheimer Marche lancia l’allarme sulla situazione attuale, evidenziando che le chiusure imposte per limitare la diffusione della pandemia, oltre a condannare alla solitudine malati e caregiver, ovvero chi si prende cura di queste persone fragili (quasi sempre i familiari), hanno causato anche un ritardo nelle diagnosi legato allo stop imposto alle attività dei centri specialistici. Un quadro insomma già critico di per sé, sul quale ha inciso ulteriormente la pandemia, con il rischio che da qui a breve tempo possano emergere con forza numerosi nuovi casi il cui degrado cerebrale è stato accelerato dal blocco della socialità.

Daniela Renzulli, coordinatrice dell’Associazione Alzheimer Marche 

Ma tra i nervi più scoperti, oltre al fatto che non ci sono di fatto ad oggi cure efficaci, c’è lo «stato di abbandono» in cui versano le famiglie e i malati, ci spiega Daniela Renzulli, coordinatrice dell’associazione attiva nelle Marche, tra anconetano e pesarese. «Pochi i posti nelle Rsa, dove le liste sono lunghissime» evidenzia, così come sono veramente esigui e insufficienti i centri diurni, che oltretutto alleviano le famiglie solo per una parte della giornata. Per il resto la situazione è molto complicata.

Se la legge 104 consente al familiare di «avere diritto a tre giorni di assenza dal lavoro, per il resto il caregiver deve arrangiarsi e spesso pagare uno stipendio ad una figura esterna come un badante», ci spiega: «Molti non riescono più a portare avanti il proprio lavoro e lo perdono». La persona affetta da questa forma di demenza infatti va incontro a un deterioramento cerebrale tale da vedere compromesse e piano piano perse le sue abilità al punto da non essere più autonoma.

Il malato ha bisogno di aiuto per mangiare, andare in bagno, inoltre può perdere le capacità di sorridere, di sedersi senza supporto e di sorreggere la propria testa. Anche i riflessi diventano anomali e nello stadio terminale della malattia i muscoli diventano rigidi e la deglutizione ne viene compromessa. Si può ben capire dunque a cosa vanno incontro i familiari che se ne occupano attivamente: il malato Alzheimer va controllato costantemente, perché può lasciare il gas acceso, uscire di notte, insomma può mettere in pericolo se stesso.

Per questo l’associazione rivolge un appello alla Regione Marche. «I bilanci dei Comuni sono sempre più esigui – spiega – e le associazioni per garantire un sostegno gratuito ai caregiver hanno bisogno di sostentamento, di risorse, oltre che di volontari. Chiediamo che la figura del caregiver venga riconosciuta e retribuita, sulla scorta di quanto stanno cercando di fare anche alcune regioni italiane, fra le quali l’Emilia Romagna».

Accanto a questo occorre lavorare anche sull’implementazione delle strutture dedicate. L’associazione rileva infatti che visto il numero limitatissimo di centri diurni e il fatto che nelle Rsa si accede solo dietro un peggioramento importante, e dopo attese lunghissime, le famiglie intanto restano al palo. Difficile, fanno notare, per un caregiver, concedersi anche pochi momenti liberi per svolgere una incombenza come la spesa o anche solo per divagarsi un attimo con una passeggiata.

L’altro nodo è quello dei volontari: «Sono pochi – ci spiega la coordinatrice – e con il Covid sono sempre di meno». Di solito la figura del volontario è incarnata da una persona generalmente non più giovanissima, in quanto ha una situazione lavorativa più stabile che le consente di mettere a disposizione parte del suo tempo anche per il prossimo, ma propria questa peculiarità ha fatto sì che con la pandemia queste persone abbiano «paura del contagio» e quindi il numero dei volontari si è fatto ancora più risicato ed ora «sono veramente pochi».

Eppure tanto si può fare grazie al volontariato e soprattutto con le Istituzioni, per dare sollievo in queste situazioni: servono risorse, ma anche l’aiuto dei privati per supportare le associazioni attive sul territorio che offrono sostegno psicologico ai malati e alle famiglie, e numerose altre iniziative il cui obiettivo è quello di contrastare l’isolamento.