ANCONA – Per un sistema di Protezione civile all’avanguardia bisogna partire dalle esperienze storiche. Lo ha detto il capo dipartimento Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Fabrizio Curcio, intervenendo in videocollegamento al Teatro delle Muse in occasione di “Codice Rosso. Quel ’72”, le celebrazioni dedicate ai 50 anni dallo sciamo sismico che nel 1972 scosse per 11 mesi Ancona, prendendo avvio il 25 gennaio di quell’anno (con un terremoto del settimo grado della scala Mercalli) per registrare la scossa più intensa (decimo grado della scala Mercalli) il 14 giugno del 1972.
«È bene che questi ricordi vengano evidenziati – ha detto riferendosi alle celebrazioni promosse dal Comune di Ancona – : noi dobbiamo fare tesoro della nostra storia e della nostra capacità di rimodulare gli eventi storici» perché «dobbiamo mettere a confronto le nostre esperienze in un contesto che sappiamo essere in continua e costante evoluzione». «Questa parte di storia – ha detto – la dobbiamo mettere insieme agli eventi che si sono succeduti da quegli anni fino ai giorni nostri, anche andando a considerare gli ultimi eventi più drammatici, il Covid e l’emergenza Ucraina».
Curcio ha ricordato le tappe che hanno portato a sviluppare il sistema di Protezione civile: dal 1966 con il volontariato. al ’76 con i terremoti che colpirono il Friuli, l’Irpinia nell’80, e poi il ’94 con le prime alluvioni e la prima applicazione della legge 225 del ’92 e ancora il sisma di Umbria e Marche del 1977 con la prima applicazione del sisma di quella legge.
Non solo sisma. Curcio ha ricordato l’alluvione della Valtellina dell”87, il primo vero banco di prova nel rapporto tra la scienza, intesa come parte collegata alle frane, alla meteorologia, alla parte idrometeorologica e al sistema di Protezione civile e poi gli eventi marchigiani con «il sisma del ’72 e la frana del 1982 che sono «a livello nazionale dei buchi che non dobbiamo assolutamente permettere che rimangano tali».
«Da sempre il sistema del Dipartimento sposa l’attenzione che si mette sul sisma del ’72 e sulla frana dell’82 perché sono stati elementi cruciali» ha detto, evidenziando anche che «il codice di Protezione civile certamente deve essere in qualche modo aggiornato rispetto all’evoluzione dei tempi, perché il sistema di Protezione civile significa interpretare le esigenze della nostra popolazione e anticiparle nelle emergenze, nella prevenzione, in primo luogo, nella previsione delle emergenze e poi nella facilità di riportare le nostre comunità alla vita più normale possibile e questo lo dobbiamo apprendere dalle nostre esperienze».
Secondo Curcio per avere un sistema di Protezione civile all’avanguardia bisogna partire «dalle esperienze storiche del passato, senza dimenticare il dramma e la positività di alcune attività come quella che Ancona ha saputo esprimere, nel sisma del ’72 e nella frana dell’82». Infine ha espresso apprezzamento per Roberto Oreficini, che ha svolto un ruolo fondamentale nel sistema marchigiano e nazionale.
La sindaca di Ancona Valeria Mancinelli nel suo intervento ha ricordato che il sisma del ’72 fu un evento «che scosse emotivamente la città, ma che consentì anche, alla città, di esprimere quanto di meglio aveva coltivato in sé» e «quante riserve di capacità di organizzare una risposta comune ad una vicenda così drammatica». «Le esperienze di vita comune e organizzata erano esperienze forti – ha detto – e tutte, durante tutto il periodo, sia durante la fase dell’emergenza che anche dopo, nella fase delle ricostruzione, si ritrovarono a dare il meglio di sé», una «società civile che reagì con forza», incluse le istituzioni, ha sottolineato Mancinelli, ricordando la figura dell’allora sindaco Alfredo Trifogli.
L’assessore regionale alla Protezione civile Stefano Aguzzi ha ricordato «avevo 10 anni all’epoca e non vivendo qui non vi nascondo che non conoscevo più di tanto, se non una data o il fatto avvenuto», ha poi sottolineato l’impegno della macchina dei soccorsi e la ricostruzione che «ha contribuito a creare una delle città più sicure d’Italia» grazie anche alle nuove tecniche del modello di intervento che «voi di Ancona ci avete insegnato con le vostre reali azioni in queste prove che avete superato».
Il prefetto di Ancona Darco Pellos, ha ricordato l’impegno del corpo dei vigili del fuoco «che in quelle giornate disperse molte delle sue energie per la salvaguardia della popolazione», intervenuti fin dalle prime fasi dell’emergenza, insieme alle forze dell’ordine, ai carabinieri, alla polizia di Stato, alla guardia di finanza, alla Marina Militare, «protagonisti di questa pagina storica della città». «Ricordo con quanta angoscia nella città di Urbino arrivavano notizie di Ancona» ha detto Pellos, nel ricordare «l’attenzione corale» degli studenti.
L’assessore alla Protezione civile del Comune di Ancona, Stefano Foresi, ha rimarcato che l’evento celebrativo è stato organizzato grazie all’impegno di un gruppo di lavoro, «per ricordare con i protagonisti la grande forza che ha avuto Ancona nel recuperare: Ancona è diventata un modello nazionale per quanto riguarda la ricostruzione e da lì si è partiti con la formazione della Protezione civile regionale».
I fatti
Era il 25 gennaio del 1972 quando alle 21, 25 Ancona fu scossa da un sisma del settimo grado della scala Mercalli, preceduta da un forte boato che proveniva dal mare. Era solo l’inizio, perché lo sciame sismico (con centinaia di scosse) durò 11 mesi, arrivando all’apice il 14 giugno, quando si verificò un terremoto del decimo grado della scala Mercalli che in 15 secondi mise in ginocchio il capoluogo.
Si trattò del sisma più forte e più lungo della storia di Ancona e solo i più anziani ricordavano il terremoto precedente, avvenuto nel 1930. Nonostante la potenza del sisma potesse lasciar pensare ad una scia di morte, in realtà non ci furono vittime provocate dal terremoto, solo in pochi persero la vita ma per lo spavento, mentre un vigile del fuoco ausiliario, proveniente dal comando di Bologna, morì in un incidente stradale mentre era impegnato nelle operazioni di sgombero del vecchio ospedale psichiatrico.
La città ne rimase però devastata e gran parte del patrimonio edilizio, specie del centro storico e dei quartieri più antichi, restò gravemente lesionato dalle scosse, con danni ingenti: 7 mila edifici furono dichiarati inagibili, tra i quali scuole, edifici pubblici, le Poste centrali, il Museo archeologico nazionale, Palazzo degli Anziani e molte chiese. Danni, anche se meno pesanti, si registrarono anche nei comuni limitrofi. L’Italia si mobilitò. Con i Vigili del Fuoco intervennero l’Esercito, la Marina militare che inviò il battaglione San Marco per l’allestimento delle tendopoli e delle cucine da campo, la Caritas diocesana, gli scout e molti volontari.
Dopo il 14 giugno 30 mila anconetani vivevano nelle tende, ne furono allestite 1.453 in 56 punti tra centro urbano e periferia. La più grande tendopoli fu allestita all’interno dello stadio dorico. Almeno 600 persone trovarono alloggio negli autobus parcheggiati nelle piazze, 1.500 nei vagoni ferroviari fermi alla stazione, 1.000 nelle palestre delle scuole agibili. Altri alloggiarono nella nave traghetto Tiziano, ancorata in porto. Chi poteva trovò ospitalità dai parenti che non avevano le abitazioni lesionate. Dal 15 al 30 giugno furono distribuiti almeno 200 mila pasti caldi e 15 mila pacchi con cibi freddi.
La chiesa si mobilitò: l’arcivescovo Carlo Maccari la sera stessa del 25 gennaio impegnò tutte le strutture organizzative della diocesi e aprì ai cittadini le chiese che non avevano avuto danni rilevanti. Un’altra figura particolarmente importante per gli anconetani fu quella di padre Bernardino Piccinelli, arcivescovo ausiliare, che divenne punto di riferimento per molti cittadini. Pilastro per i cittadini fu Alfredo Trifogli, chiamato da tutti il sindaco del terremoto, perché fu sempre attivo prima per la gestione dell’emergenza e poi per la ricostruzione. Si fece promotore, con altri parlamentari marchigiani, di una legge per la città: un modello di gestione del sisma che divenne un esempio per le successive calamità naturali che colpirono il Paese, a cominciare dal Friuli. Anche l’impianto moderno della Protezione civile prese le mosse proprio dall’esperienza maturata sul campo ad Ancona.