ANCONA – Manifestazione pro aborto questa mattina davanti alla sede di Palazzo Leopardi, mentre all’interno era in corso una seduta del Consiglio regionale. L’iniziativa, promossa dal movimento per i diritti “Non una di meno Transterritoriale Marche” ha visto l’adesione anche di Unione Sindacale di Base (Usb) e Potere al Popolo, per rivendicare l’aborto libero gratuito e farmacologico per le donne marchigiane.
Una data, quella di oggi – 28 settembre – scelta non a caso, in quanto ricorre la giornata internazionale dell’aborto sicuro. Il movimento per i diritti è andato all’attacco della Giunta sul mancato recepimento delle linee guida del Ministero sulla Ru486, la cosiddetta pillola abortiva, che non viene erogata nei consultori.
«Nelle Marche a sette settimane di gravidanza fare un certificato di Interruzione volontaria di gravidanza è una corsa a ostacoli – ha sottolineato Marte Manca, attivista e referente del movimento per i diritti -: durante la pandemia, quando le ragazze sono venute da noi per chiedere aiuto, abbiano dovuto mandarle in Umbria».
Ma oltre a rinnovare l’attacco alle politiche sanitarie adottate dalla Giunta di centrodestra sul tema del diritto all’aborto, il movimento ha posto l’accento anche sui livelli di obiezione di coscienza che rendono per le donne marchigiane l’aborto quasi una chimera. A tal proposito la referente ha illustrato i dati forniti dall’Asur Marche sul numero di ginecologi e ostetriche obiettori di coscienza, sottolineando che ci sono alcune strutture sanitarie delle Marche dove il livello di obiezione tocca il 100% degli operatori.
Tra i casi emblematici c’è Jesi dove sono obiettori 10 ginecologi su 10 e 20 ostetriche su 20. Ad Ascoli Piceno sono obiettori 7 ginecologi su 10 e 15 ostetriche su 18, a Civitanova Marche 6 ginecologi su 8 e 14 ostetriche su 17, a Fermo 10 ginecologi su 10 e 16 ostetriche su 24, mentre ad Urbino lo sono 4 ginecologi su 9 e 5 ostetriche su 13. Mancano i dati relativi alla zona di Ancona, che «non sono stati forniti, nonostante 4 solleciti» spiega Marte Manca, insieme alle altre figure sanitarie.
«L’obiezione è alta e in piena pandemia e lock-down, le strutture che effettuavano l’aborto farmacologico erano due e le donne dovevano fare salti mortali – afferma Marte Manca -. Sforando la settima settimana, diventa un’urgenza o vai nel chirurgico».
A San Benedetto del Tronto, in particolare, ha ricordato la referente del movimento «il reparto era stato cooptato per il Covid e alla riapertura non si è pensato di rimettere quello che c’era prima». Non una di meno chiede poi alla Giunta di abolire alcuni passaggi previsti nell’interruzione di gravidanza, come il colloquio psicologico e la settimana di ripensamento, che per il movimento rappresenta un momento colpevolizzante nei confronti della donna.
«Fare una maternale a una ragazza che ha deciso di abortire – spiega – significa spezzarle le gambe. La scelta non deve essere fatta con un predicozzo». Secondo Marte Manca le ragazze che abortiscono «sono veramente poche» e sono per lo più nella fascia d’età compresa tra 30 e 45 anni, con relazione stabile, le quali «scelgono che la maternità non la vogliono. La narrazione che abbiamo avuto a gennaio, con la pdl presentata dalla Giunta e l’impianto “familistico” procura danni enormi alle donne».
Tra le richieste avanzate alla Giunta, quella di ritirare la proposta di legge del febbraio scorso con cui si prevedeva la presenza di attivisti pro-life nei consultori, prevedere la possibilità di ottenere il certificato di interruzione volontaria di gravidanza in modalità telematica, prevedere la fornitura gratuita della pillola del giorno dopo nei consultori.