ANCONA – Donne, anziani, bambini, persone indifese. La violenza, espressione di vigliaccheria e sopraffazione ignorante, non risparmia nessuno. È stato il tema al centro della settima edizione del congresso regionale “La violenza sui minori, sulle donne, sugli anziani e sui disabili: riconoscere, proteggere, intervenire” che si è svolto presso l’Auditorium Montessori della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torrette. Un evento che ogni anno registra il tutto esaurito, segno della complessità di un tema, che spesso resta in sordina e non viene denunciato per timore e vergogna, ma che comunque è un fenomeno purtroppo molto presente.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa 1 anziano su 6 ha subito abusi lo scorso anno. Un quadro raccapricciante che rischia di peggiorare ulteriormente con il progressivo invecchiamento della popolazione: secondo le stime dell’Oms infatti nel 2050 si potrebbe arrivare addirittura a 320 milioni di anziani maltrattati.
Numeri preoccupanti anche per quanto riguarda la violenza fisica e sessuale sulle donne che secondo recenti stime coinvolge circa il 31.5% della popolazione femminile compresa tra 16-70 anni: il 26.4% delle donne ha subito almeno una volta nella vita violenza psicologica o economica e il 21.5% di loro è rimasta vittima di comportamenti persecutori (stalking) da parte di ex-partner.
Ancora peggiore è la situazione delle donne affette da disabilità, le più esposte ai maltrattamenti, un fenomeno che secondo l’Istat interessa una platea di circa 2milioni di persone del gentil sesso. In base ai dati della Federazione Italiana per il superamento dell’handicap ad aver subito violenze fisiche o sessuali sono state il 36% delle donne disabili.
Ma tra gli indifesi che hanno subito abusi non ci sono solo gli anziani o donne disabili. Ogni anno nel mondo si stima che i minori vittime di violenza siano fra 500 milioni e 1.5 miliardi, 100mila solo in Italia, il 19% dei quali ha subito violenza assistita, la seconda forma di maltrattamento sui minori più frequente.
I NUMERI A TORRETTE
Nonostante ci siano molto sommerso alcuni casi giungono all’attenzione e al trattamento dei sanitari. Nel 2018 sono state 41 le donne che si sono rivolte alle cure del pronto soccorso degli Ospedali Riuniti di Ancona dopo aver subito maltrattamenti, 20 delle quali sono italiane e hanno mediamente 30 anni. Dieci i casi di violenza sessuale, 5 dei quali hanno riguardato donne italiane con un’età media intorno ai 33 anni.
Ancora più odioso il maltrattamento e l’abuso quando riguarda i minori, i più indifesi e a rischio di riportare traumi e conseguenze molto gravi. A Torrette nel 2018 sono stati complessivamente 13 i casi giunti all’attenzione dei medici che hanno coinvolto i bambini, in maggioranza femmine: 9 i casi di maltrattamento e 4 quelli di violenza nei confronti di bambine. Di questi 13 minori, 8 erano bambine straniere intorno ai 9 anni e 5 italiane di età media intorno ai 7 anni. Tre i casi di maltrattamento sui bambini di sesso maschile, tutti di nazionalità italiana e intorno ai 4. Numeri che rappresentano un pugno dritto allo stomaco.
«Siamo giunti alla settima edizione, i primi cinque appuntamenti riguardavano la violenza sulle donne e sui minori – ha dichiarato il direttore generale degli Ospedali Riuniti di Ancona Michele Caporossi, presidente del congresso – negli ultimi due si sono aggiunte anche le problematiche riguardanti la violenza sugli anziani e sui disabili. Un completo quadro di riferimento nel quale in questi anni abbiamo avuto modo di crescere insieme, abbiamo usato tutte le massime evidenze scientifiche per affrontare la questione senza lasciare spazio alla retorica o all’interpretazione soggettiva. Di tentativi di affrontare le questioni della violenza in Italia ma anche nel mondo ce ne sono stati tantissimi dal punto di vista di una propensione ideologica a dire opponiamoci, poi in realtà ci ritroviamo di fronte all’incedere incalzante di una cultura rispetto alla quale tutti i valori precedenti cessano.
La cultura assume delle dimensioni antropologiche che connaturano i comportamenti dello stesso Dna delle persone. I mezzi di comunicazione tra le persone, quelli che hanno agevolato l’attuale interscambio totale a livello mondiale tra le persone, nello stesso tempo hanno dentro un paradosso tutto da esaminare che è quello che il significante in qualche maniera determina il significato, vale a dire il mezzo di comunicazione stesso, social network, in qualche maniera crea i contenuti di riferimento che ci sono all’interno».
Caporossi ha posto l’accento sulla necessità di un interscambio tra le professioni, da quelle sociali a quelle sanitarie, fino a quelle legali, per arrivare a protocolli di interventi.
Soddisfatta per la grande partecipazione la dottoressa Loredana Buscemi, medico legale, presidente Genetisti Forensi Italiani e direttore scientifico del congresso. «Uno degli obiettivi di questi nostri incontri è quello di sensibilizzare tutti i professionisti della salute che a vario titolo orbitano attorno alla problematica trattata ma non solo. Non vogliamo fermarci a quelli che sono gli aspetti sanitari ma considerando che la problematica ha valenza multidisciplinare ci siamo aperti anche ad altre professioni, agli avvocati, agli assistenti sociali in quanto la interdisciplinarietà dell’argomento impone che si affronti in questa maniera».
IL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOTERAPEUTA
Ma cos’è che spinge una persona a maltrattare o ad abusare di un indifeso?
«Alla base di questi comportamenti violenti c’è spesso un disturbo di personalità, magari con tratti antisociali o passivo-aggressivi, oppure un disturbo borderline», spiega la psicoterapeuta Alessia Tombesi. Dinamiche nelle quali entra in gioco anche l’anaffettivismo: «sono persone che non riescono a provare emozioni e che non hanno empatia, quindi non sono in grado di mettersi nei panni degli altri, vedono solo loro stessi e i loro bisogni e se questi vengono frustrati scatta la rabbia, un sentimento che non sanno gestire». Frequente il caso in cui sono le stesse persone abusanti ad aver subito nel passato violenza con il rischio di trasformarsi in carnefice. «Certamente alla base di tutto questo c’è una sofferenza, un disagio psicologico – sottolinea la psicoterapeuta -. Non vanno giustificati, ma aiutati a elaborare questa rabbia non gestita, che non sanno contenere».
«Occorre aiutare le vittime e incoraggiarle a segnalare il prima possibile abusi e maltrattamenti – conclude -. Non bisogna avere paura, perché in alcuni casi si può salvare veramente la vita».