ANCONA – «L’episodio è e resta gravissimo, ma al contempo sottolinea una sofferenza diffusa, una notevole elevazione dei livelli di stress delle persone, che nel singolo può più facilmente predisporre ad agire in modo impulsivo e violento». Lo psichiatra Umberto Volpe, direttore della Clinica di Psichiatria di Torrette commenta così l’omicidio di Alika Ogorchukwu, il 39enne nigeriano colpito con la stampella (la sua) venerdì pomeriggio in pieno centro a Civitanova Marche sotto lo sguardo attonito dei passanti. I poliziotti hanno arrestato con l’accusa di omicidio e rapina un 32enne italiano Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo, attualmente recluso nel carcere di Montacuto.
«Molti studi – dice – hanno individuato nella popolazione generale, un’ elevazione dei livelli di stress ed una compromissione della sfera affettiva a seguito della pandemia da covid-19. Da più parti è emersa la preoccupazione che, dopo gli effetti “acuti” del covid-19, possano prevalere in questa fase più tardiva gli effetti “cronici” ovvero quelli legati, da un lato, al peggioramento di malattie croniche trattate in modo meno attento (in un periodo in cui la pandemia ha catalizzato l’attenzione dei sanitari, la cosiddetta “third wave”) e, dall’altro, agli effetti psicologici della pandemia (la “fourth wave”)».
Lo psichiatra evidenzia che «dopo le fasi di lockdown e le varie restrizioni subite nelle fasi di maggiore acuzie del coronavirus, la popolazione generale ha dovuto fronteggiare il peggioramento delle condizioni economiche, che notoriamente è un ulteriore elemento stressante. Ed ancora – aggiunge – , allo sfumare dell’“emergenza Covid”, siamo entrati in un clima bellico che in Europa non è stato presente da oltre 70 anni. per di più, con conseguenze ancor più negative sull’economia e quindi, di rimbalzo, sulla salute mentale. Queste considerazioni generali sul benessere psicologico generale non spiegano né giustificano il gesto violento, ma contribuiscono ad evidenziare un malessere diffuso, che può costituire un “pabulum” in cui questi gravi episodi è meno improbabile che accadano».
Nel commentare l’atteggiamento delle persone che hanno assistito alla tragedia «preoccupate di riprendere col telefono cellulare l’episodio e postarlo sui social media, piuttosto che intervenire o favorire l’intervento delle forze dell’ordine» il professor Volpe afferma che «anche questo è un chiaro campanello d’allarme generale: sempre più sembra di vivere in uno sdoppiamento tra reale e virtuale, in cui è questa seconda dimensione a prevalere. Il simbolo sembra preminente rispetto all’oggetto stesso che rappresenta. La rappresentazione prima della realtà. Purtroppo, l’uso sempre più invasivo e costante dei gli smartphones tende a spingerci verso lo scambio di idee, informazioni e immagini in rete, in modo ubiquitario e ad un ritmo mai osservato in passato».
Lo psichiatra rimarca che il termine comunicazione, etimologicamente rimanda al “mettere in comune” e che però «rispetto al passato la condivisione avviene sempre più spesso in uno spazio virtuale, a scapito delle interazioni reali. Tutto sembra avvenire in un “non luogo”, per utilizzare il concetto introdotto dal sociologo francese Marc Augè. Anche episodi come quello di Civitanova sembrano avvenire in una dimensione altra, da osservare a distanza, magari da riprodurre sui social, ma senza viverla nel momento presente e quindi, paradossalmente, scevra dalla sua tragicità umana. Come fosse un film di cui si è spettatori».
Umberto Volpe precisa tuttavia che «non bisogna però demonizzare gli strumenti tecnologici: gli smartphone sono strumenti utilissimi, che ampliano notevolmente le nostre possibilità di comunicare, interagire e relazionarci. Dovremmo, ad esempio, sfruttare le possibilità comunicative dei dispositivi smart per avvicinare chi è lontano (che resta una fantastica opportunità sociale), non per allontanarci da ciò che ci sta vicino, dalla realtà più prossima».
«Il vero problema – osserva – risiede nell’essere educati a comprendere possibilità ma anche limiti delle tecnologie di telecomunicazione, fin dalla giovane età. Sarebbe opportuno pensare alla comunicazione in rete come un elemento aggiuntivo alle interazioni reali ed invece evitare che la rete virtuale sostituisca quella rete di contenuti, idee, valori e persone che costituiscono la dimensione sociale naturale dell’essere umano. Ancora una volta, pensiamo all’etimologia delle parole: “virtuale” deriva dal latino “virtus” e rimanda ad un concetto di facoltà, di potenza, di trasformazione. La dimensione virtuale dovrebbe, cioè, condurci non ad una fuga dal mondo ma alla creazione di nuovi mondi, non alternativi ma complementari alla realtà quotidiana».