ANCONA – I cambiamenti climatici possono minacciare alcune specie animali e la loro estinzione può influire sulla salute dell’intero ecosistema. A lanciare l’allarme sono le associazioni animaliste e lo fanno oggi, venerdì 4 ottobre, proprio in occasione della Giornata mondiale degli animali che ricorre non a caso in concomitanza con l’onomastico di San Francesco d’Assisi, il santo protettore di tutti gli animali.
Una preoccupazione, quella delle associazioni, che trova supporto scientifico nella ricerca internazionale condotta da un gruppo di 64 ricercatori dell’Istituto tedesco Leibniz per la ricerca sugli zoo e la fauna selvatica.
Dallo studio, pubblicato quest’anno sulla rivista Nature Communications, è emerso che passeri, cinciallegre, gazze ladre e caprioli sono fra le specie più minacciate dai cambiamenti climatici perché faticano ad adattarsi rapidamente all’aumento delle temperature che stanno interessando il nostro paese e non solo.
Il riscaldamento globale sta influendo sul letargo, sulla migrazione e sulla riproduzione di alcune specie e questo potrebbe minacciarne la sopravvivenza. «Ci sono già tentativi da parte delle rondini di non migrare» spiega Andrea Brutti, responsabile fauna selvatica dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali). L’esperto evidenzia parallelamente anche il caso della colonia di pappagalli parrocchetti presente a Roma fin dagli anni ’70 e che proprio in seguito al riscaldamento delle temperature sta prolificando.
«C’è un legame stretto tra cambiamento climatico e comportamento degli animali – osserva Andrea Brutti – le temperature più alte fanno asciugare le falde acquifere presenti in quota, costringendo alcune specie a scendere più a valle. Gli animali stanno cercando di adattarsi a questi cambiamenti climatici, ma non sarà semplice per tutti. Le temperature più alte potranno far aumentare le specie più tropicali come nel caso dei pappagalli, un cambiamento che interessa non solo gli animali a terra, ma anche l’ambiente marino dove già si riscontrano delle nuove specie».
Animali come i lupi, i cinghiali e gli uccelli sono costretti a scendere più a valle secondo le associazioni animaliste, non solo per cercare falde acquifere con cui dissetarsi, ma anche per trovare luoghi sicuri in seguito al «disturbo arrecato loro dalla stagione venatoria» evidenzia l’esperto Enpa. Una tesi che vede d’accordo anche il delegato marchigiano della Lac (Lega per l’abolizione della Caccia) Danilo Baldini, secondo il quale i lupi scendono sempre più a valle proprio per i cambiamenti climatici, oltre che per il fatto che sono animali caratterizzati da una grande facilità allo spostamento. Ma a rischio ci sono anche i pipistrelli e le anatre selvatiche, come ad esempio il moriglione, che nonostante il richiamo dell’Unione Europea è una specie ancora cacciabile nelle Marche.
«La situazione è moto critica e richiede azioni immediate e interventi urgenti che non possono riguardare solo un paese, il cambiamento deve essere attuato a livello globale – incalza Andrea Brutti -. Le emissioni di inquinanti in atmosfera stanno innalzando le temperature, ma la politica non parla mai del fatto che queste emissioni oltre ad essere prodotte dall’industria e dai mezzi di trasporto come auto e aerei, sono causate anche dagli allevamenti intensivi di animali. Bisogna sapere che anche quello che mangiamo influenza il clima, come sta succedendo per il grande uso di carne che stiamo consumando a scopo alimentare».
Accanto a questo ci sono gli incendi dolosi e le devastazioni causate dai fenomeni climatici sempre più estremi come quella avvenuta nell’Altopiano di Asiago in Veneto dove lo scorso inverno sono andati distrutti oltre 300 mila alberi a causa del maltempo. Poi come dimenticare quanto accaduto più recentemente in Amazzonia colpita da vasti incedi, una situazione che interessa tutti. «Questo causa vittime tra gli animali distruggendo interi habitat che non potranno mai più essere ricostruiti proprio per le mutate condizioni climatiche».
Intanto domenica 6 ottobre Papa Francesco aprirà il sinodo sull’Ambiente che sarà dedicato proprio all’Amazzonia, una pietra miliare destinata a rimanere nella storia non solo della Chiesa. A Città del Vaticano arriveranno i vescovi dei 9 paesi amazzonici, oltre ad esperti, per richiamare l’attenzione della Chiesa sulla questione ambientale, perché l’annuncio del Vangelo non può prescindere dalla natura e dalle società in cui vivono gli uomini.
LA QUESTIONE LUPO
Anche nelle Marche sempre più spesso i lupi, ma anche i cinghiali e altri animali selvatici, vengano avvistati, fotografati e filmati sempre più spesso vicino ai centri abitati, lungo i fondovalle e vicino al mare, ben distanti dalle catene montuose che sono il loro habitat naturale. Una questione sulla quale si è scatenata anche una battaglia politica con la presentazione da parte del consigliere Talé di una proposta di legge regionale per la cattura e l’eventuale uccisione di esemplari appartenenti a specie protette come il lupo, come rimedio agli episodi di predazione nei confronti di alcuni allevamenti.
«Il lupo, a causa della caccia accanita e della persecuzione diretta a cui è stato sottoposto per secoli dall’uomo, negli anni ’70 del secolo scorso, era quasi estinto in Italia e si era ridotto a poche decine di esemplari nel Parco Nazionale d’Abruzzo – spiega Danilo Baldini della Lac -. Per questo, grazie anche all’Operazione “San Francesco” del WwfF, ne venne decretato ufficialmente il divieto di caccia e da allora, lentamente, il lupo è aumentato numericamente e, gradualmente ha ricolonizzato tutta la catena appenninica, ritornando perfino sulle Alpi, dove si era estinto da oltre un secolo.
Ma a parte la protezione, ciò che ha veramente influito sull’esplosione demografica del lupo, è stata l’introduzione in Italia per scopi venatori del cinghiale dall’Est Europa, una specie particolarmente prolifica, che in poco tempo si è perfettamente adattata al nostro habitat, diventando la principale fonte di cibo per il lupo italico.
I cacciatori infatti, senza volerlo, hanno ricreato la catena biologica in cui il lupo è al vertice, nel suo ruolo fondamentale di selettore naturale, controllando le popolazioni delle sue prede preferite, cinghiali e caprioli, ed eliminando le carcasse degli animali morti per cause naturali. Quindi è profondamente ingiusto e sbagliato scientificamente addossare tutte le colpe al lupo per le predazioni alle greggi ed agli allevamenti domestici, anche perché solo l’analisi del dna può dimostrare, con una buona probabilità di certezza, se un animale sia stato vittima di un lupo o di un cane».
Insomma per il delegato della Lac «non ha alcun senso proporre di catturare e/o uccidere i lupi, in quanto le alternative esistono, come i cani pastore abruzzesi, che sono la razza migliore per la guardiania delle greggi, recinzioni a basso voltaggio elettrico, dissuasori ottici ed acustici ecc. Un politico serio dovrebbe impegnarsi per dotare gli allevatori di questi strumenti e mezzi e non in proposte di legge per ammazzare i lupi o altri predatori naturali, indispensabili per gli equilibri faunistici».
Per Baldini «il motivo per cui i lupi vengono sempre di più avvistati vicino i centri abitati è perché seguono le tracce e gli spostamenti dei cinghiali e dei caprioli, i quali si avvicinano ai nostri paesi e città, perché in esse vi trovano cibo (rifiuti e discariche) e rifugio e protezione (nei centri abitati la caccia è vietata). Ma personalmente credo che un fattore determinante che ha fatto sì che gli animali selvatici e quindi anche il lupo, siano scesi dalle montagne verso le vallate ed il mare, ed abbiano cambiato il loro habitat, sia legato necessariamente ai cambiamenti climatici in atto. Infatti, il clima più caldo e la scarsità di precipitazioni nevose e piovose stanno determinando il prosciugamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua montani. Per questo motivo il lupo, come il cinghiale, il capriolo e gli altri animali selvatici sono costretti a scendere a valle per trovare l’acqua, perché senza di essa non può esserci vita».
Sulla questione è intervenuto anche il consigliere regionale dei Verdi Sandro Bisonni che spiega, sulla base dell’ultimo censimento regionale, che nelle Marche i lupi non sono 500 come sostenuto dal consigliere dem Talè, ma tra 140 e 160 suddivisi in 28 gruppi familiari. Bisonni evidenzia inoltre che nelle Marche ogni anno vengono presentate circa 500 richieste di indennizzo per incidenti stradali e danni all’agricoltura causati dalla fauna selvatica, un numero che secondo il consigliere regionale dei Verdi deve far comprendere l’importanza del lupo quale alleato degli agricoltori e addirittura della Regione nella lotta ai cinghiali e agli animali di grossa taglia di cui il lupo si ciba.
«Il lupo non è assolutamente un pericolo per l’uomo e non ci sono casi di attacco – spiega Bisonni -. Dobbiamo fare come San Francesco, non uccidere i lupi, ma imparare a convivere con loro».