ANCONA – Entrano in ospedale e restano lì per mesi perché al momento delle dimissioni non hanno chi possa prendersi cura di loro. È il dramma della solitudine che colpisce tanti anziani non più autosufficienti, che non hanno nessuno che possa accudirli o aiutarli a ricevere assistenza a domicilio.
Non possono neanche accedere subito alle Rsa, perché le liste di attesa sono lunghe o perché spesso non hanno risorse economiche o parenti che vogliano farsene carico. Altri sono stranieri e in questo caso il quadro si complica ulteriormente, rischiando di arenarsi nei meandri della burocrazia.
Una situazione che interessa un numero sempre crescente di persone anziane e che sta mettendo a dura prova gli ospedali, già in sofferenza sul fronte della carenza di posti letto. Un quadro già critico che in estate peggiora ulteriormente, con la minore disponibilità delle badanti e che è una delle “nuove emergenze”, visto il progressivo invecchiamento della popolazione, l’aumentare delle malattie neurodegenerative e lo scarso supporto sul quale possono contare le famiglie.
Senza contare i recenti episodi di cronaca che restituiscono un quadro sempre più desolante di anziani abbandonati a loro stessi, come il caso della donna 89enne morta nel suo appartamento ad Ancona e trovata solo alcune settimane dopo solo perché i suoi vicini hanno avvertito cattivo odore provenire dalla sua abitazione.
Sulla questione delle dimissioni difficili avevano già lanciato l’allarme un anno fa Cgil, Cisl e Uil. «Da tempo denunciamo che i servizi sanitari territoriali e quelli di integrazione socio-sanitaria sono insufficienti rispetto ai bisogni dei cittadini, specie quelli più fragili a partire da quelli più anziani – spiega il segretario regionale Daniela Barbaresi -. Necessario e urgente anche un riequilibrio sul territorio regionale dell’offerta dei servizi oltre che innalzare i bassissimi livelli di copertura dell’assistenza socio-sanitaria a domicilio».
LA DIMENSIONE DEL FENOMENO
Secondo l’ultimo report della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha analizzato le performance dei sistemi sanitari prendendo in esame un network di 12 regioni, emerge che nel 2017 nelle Marche si è registrata un’elevata percentuale di ricoveri oltre soglia di pazienti anziani (ricoveri con una durata superiore rispetto al tempo massimo previsto per la gestione di uno specifico quadro clinico).
Una performance che il Sant’Anna ha valutato come molto critica dal momento che la media registrata è pari al 5,7% rispetto al 4,3% delle altre regioni analizzate. Gli ospedali di Senigallia e Civitanova Marche sono quelli con le performance peggiori, mentre a Fabriano, Fano, Urbino e Ancona la situazione non è critica e mostra performance buone o ottime (dati 2016).
Problematica anche la situazione sul fronte delle cure domiciliari dove si evidenzia che a questa tipologia di assistenza riesce ad accedere solo una media di 2,9% di anziani a fronte di una media del 7,5% a livello nazionale. Jesi e Ancona hanno la maglia nera in tal senso con la percentuale più bassa, mentre San Benedetto del Tronto e Senigallia sono quelle con i valori più alti, anche se sotto soglia rispetto alle altre regioni.
Basso anche il tasso di anziani over 65 ammessi nelle Rsa, 8,9 per mille a fronte di una media dell’11,8: Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto sono le città con i valori più bassi, mentre Fano e Urbino hanno la media più alta anche rispetto alla media delle altre regioni prese in esame.
LA STORIA DI MARIA
Ma che succede di fatto all’interno degli ospedali quando si tratta di dimettere un paziente anziano? Ce lo hanno spiegato il primario della Clinica di Malattie Infettive di Torrette Andrea Giacometti e il dottor Fabrizio Burzacchini, presidente delle associazioni di volontariato attive all’interno degli Ospedali Riuniti di Ancona.
La storia che ci raccontano è quella di una donna 82enne, il cui nome di fantasia è Maria (per rispetto della sua privacy), che come tante altre è rimasta è sola. Maria è vedova e ha un figlio che vive e lavora ormai da anni in un altra città. «È sempre stata autosufficiente – raccontano Giacometti e Burzacchini -, sebbene un paio di volte alla settimana una amica le venga a dare una mano per le faccende domestiche, di più non può permettersi a causa della esiguità della pensione che riceve. Un giorno viene trovata a terra, in stato confusionale e, quindi, trasportata in ospedale in ambulanza».
A portare gli anziani in ospedale, spiegano i due medici, sono spesso ictus, patologie infettive importanti, diabete scompensato, severi problemi epatici o renali, disidratazione anche legata al caldo eccessivo e altre situazioni che nell’anziano possono manifestarsi in modo più severo. Situazioni nelle quali a volte il ricovero può prolungarsi per parecchi giorni, a volte per settimane, prima che l’anziano possa essere dimesso.
Tornando alla storia di Maria, prima autosufficiente, accade che dopo un prolungato ricovero si ritrovi con le gambe indebolite: magari riesce a stento o non riesce affatto ad alzarsi dal letto, non è neanche più perfettamente orientata nel tempo e nello spazio, un disorientamento spesso legato al ritrovarsi in un ambiente estraneo come quello ospedaliero, così differente da quello domestico dove ci si muove meglio, anche per semplice abitudine.
In situazioni come queste scatta il programma di “dimissione protetta”, perché Maria «non può essere semplicemente riportata a casa. Ce la farebbe a prepararsi da mangiare da sola? E a lavarsi? Chi le farà la spesa? Chi la aiuterà nelle faccende domestiche? Se dovesse risentirsi male, avrà qualcuno vicino? – spiegano i medici -. Purtroppo abbiamo visto che la signora Maria vive da sola, con la sua pensione può permettersi un aiuto solo per poche ore diurne un paio di volte alla settimana. In parole povere, non può essere dimessa semplicemente riaccompagnandola a casa, perché ora la nostra amica non è più autosufficiente».
A questo punto i medici del reparto devono attivare l’assistente sociale «con la speranza che le venga trovata una sistemazione momentanea, in realtà forse tale sistemazione si prolungherà per varie settimane o mesi, presso una struttura di riabilitazione o una residenza sanitaria assistita territoriale – osservano i due medici -. Purtroppo queste strutture sono sovraffollate e i tempi di attesa biblici, per cui i medici, che non se la sentono né possono semplicemente abbandonare la signora Maria al proprio destino, sono costretti a prolungare il ricovero in attesa che si liberi un posto presso una delle strutture territoriali».
Un ricovero prolungato in attesa di una sistemazione più idonea che «ha costi elevati e toglie disponibilità di posti letto ad altri pazienti che ne necessiterebbero».
Un problema, quello della “presa in carico post-dimissione” «impellente e sentito dagli operatori sanitari, dalle associazioni di volontariato e fortunatamente ora anche dai politici. Sono stati attuati vari tavoli di discussione nel corso dei quali il lavoro congiunto dei Comitati di Partecipazione eletti tra i membri delle Associazioni di Volontariato operanti all’interno dell’Area Vasta 2 dell’Asur Marche, dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona e dell’Inrca-Irccs di Ancona-Osimo insieme al personale sanitario di tale Aziende ed ai rappresentati politici della Regione Marche ha portato alla redazione del Piano Socio-Sanitario Regionale 2019-2021 che inquadra come obiettivo strategico di riferimento proprio la presa in carico post-dimissione».
Una questione che chiede una soluzione in tempi rapidi non solo «per il lato umano del problema, ma anche quello logistico e economico – concludono Giacometti e Burzacchini -. Infatti garantire al paziente fragile una vera dimissione protetta, fornendogli in tempi decenti un ciclo di riabilitazione se necessario o un ambiente protetto ove venga prestata l’assistenza sanitaria richiesta e trovato un rimedio al dramma della solitudine avrà, è vero, dei costi importanti, ma tali costi saranno, anzi già sono incredibilmente alti se consideriamo che posti letto preziosi nei principali ospedali, posti che dovrebbero ospitare pazienti con malattie acute, vengono invece utilizzati come letti di lungodegenza in attesa di sistemazione migliore».