ANCONA – Nella nuova udienza del processo per il crac di Banca Marche, che si è svolta nel pomeriggio di ieri (8 marzo) al Tribunale di Ancona, è stato ascoltato come teste Walter Darini, uno degli imprenditori marchigiani della cordata guidata dal fabrianese Francesco Merloni per tentare di salvare l’istituto di credito.
In Aula lo jesino Darini, socio dell’Istituto di credito ed ex consigliere nell’era Bianconi, ha ripercorso le tappe salienti del periodo a cavallo tra l’estate e l’autunno del 2013, prima che la banca venisse commissariata, ricordando l’aumento di capitale da 180milioni che doveva essere operato nel 2011 per salvare la banca. Una ricapitalizzazione che inizialmente aveva sottoscritto con l’intenzione di investire 1,5milioni di euro, per poi revocare la sua disponibilità all’investimento nel timore di perdere la somma.
Interrogato dal legale di Unione Nazionale Consumatori Corrado Canafoglia che rappresenta oltre 3.000 risparmiatori azzerati, ha ricordato di non aver partecipato all’aumento di capitale sociale perché sarebbe stato consigliato dal proprio legale di astenersi visto che era già troppo esposto verso l’istituto di credito.
L’ex presidente Rainer Masera aveva affermato in una delle precedenti udienze che le risorse messe a disposizione della cordata non sarebbero in ogni caso state sufficienti. Darini ha ribadito l’interesse della cordata di imprenditori nel salvare dal default la banca, tanto che c’erano stati degli incontri in Regione, convocati dal Governatore Spacca, e alcuni imprenditori avevano sottoscritto la loro disponibilità a mettere il loro denaro per salvare l’istituto di credito.
Ma poi non se ne fece nulla e 44mila risparmiatori furono azzerati. «È lecito chiedersi chi abbia fatto fallire Banca Marche» afferma il legale Canafoglia. La prossima udienza si terrà il 15 marzo.