Ancona-Osimo

Calendario venatorio, animalisti e ambientalisti sul piede di guerra

Le associazioni hanno avanzato una serie di richieste di modifiche al calendario venatorio che verranno discusse oggi in seconda commissione. Se non verranno accolte annunciano che presenteranno ricorso al Tar

Caccia (Foto di jacqueline macou da Pixabay)

ANCONA – Il calendario venatorio 2020-2021 approda oggi in seconda commissione dove verranno esaminate le richieste di modifica avanzate dalle associazioni animaliste e ambientaliste. Enpa, Ente Zoofilo Ecologista, Italia Nostra, Lac, Lupus in Fabula, Lav, Lipu BirdLife, Pro Natura e Wwf Marche sono sul piede di guerra e tornano ad avanzare le loro proposte.

Eliminare le preaperture, fissare l’avvio della stagione venatoria al 20 settembre come previsto dalla legge nazionale, posticipare di un’ora l’apertura e anticipare di mezz’ora la chiusura della caccia per tutto il mese di settembre e ricorrere alle munizioni atossiche e senza piombo, sono fra le principali richieste di modifica al calendario venatorio presentate dalle associazioni.

Ma sul tavolo c’è anche la richiesta di vietare la braccata al cinghiale, di uniformare l’apertura della caccia a questa specie al 1 novembre e di escludere la volpe dalle specie cacciabili, «un animale simbolo per le associazioni animaliste» spiega il delegato regionale Lac (Lega Abolizione Caccia), Danilo Baldini.

Importante per le associazioni che siano escluse dalla caccia la Pavoncella e il Moriglione, uccelli in via di estinzione sui quali si è già pronunciato recentemente il Tar della Toscana che ha dato ragione al ricorso presentato da animalisti e ambientalisti, eliminando queste specie da quelle cacciabili. Ma in base alla Legge Comunitaria in
materia di tutela delle specie nidificanti e migratrici in forte declino a livello europeo, le associazioni chiedono l’esclusione dalla caccia anche per Allodola, Combattente, Porciglione, Marzaiola, Fischione, Mestolone, Moretta, Frullino e Beccaccino.

Fra le richieste avanzate poi c’è anche quella di anticipare al 31 dicembre la chiusura della caccia alla Beccaccia, per la vulnerabilità della specie, soprattutto in condizioni climatiche avverse come ad esempio con la presenza della neve che può determinare fenomeni di concentramento della specie in aree ristrette.

«Si tratta di una serie di richieste e di osservazioni che avevamo posto anche alla vigilia della passata stagione venatoria, ma che come al solito non erano state minimamente prese in considerazione» commenta il delegato Lac Danilo Baldini.

«Quest’anno contiamo di ottenere qualcosa, visto che a settembre si voterà per il rinnovo del consiglio regionale», osserva, lanciando una stilettata: «Rispetto allo scorso anno abbiamo inserito anche la richiesta di vietare la “braccata”, che è la forma di caccia al cinghiale che si pratica con l’utilizzo di molti cacciatori e di molti cani e che quindi è anche la meno selettiva e soprattutto la più pericolosa, sia per i cacciatori che la praticano, sia per coloro che si dovessero trovare in mezzo, come cercatori di funghi, di castagne, escursionisti».

Baldini spiega che con l’apertura della caccia al cinghiale già dal mese di ottobre, «quando ancora gli alberi hanno le foglie e quindi impediscono una visuale libera a chi spara» il rischio è che si possano verificare «numerosi incidenti». Inoltre evidenzia che «studi scientifici e faunistici hanno dimostrato che le “braccate” invece di contenere il numero dei cinghiali, di fatto ne provocano un aumento» perché i branchi sono dominati dalle femmine “matriarche”, le quali «sono le uniche che si riproducono, grazie all’emissione dei feromoni, che inibiscono la fertilità delle femmine di rango inferiore».

Durante le braccate però vengono abbattute preferibilmente le femmine matriarche, creando in questo modo «una disgregazione dei branchi, ed innescando una reazione “liberatoria” nelle altre femmine di rango inferiore, che andando in estro, si riproducono più volte nello stesso anno, formando a loro volta altri branchi».

Insomma questo tipo di caccia, il più praticato, non fa altro che indurre un aumento della popolazione di cinghiali e la loro dispersione sul territorio «determinando quindi maggiori danni alle coltivazioni agricole, ed un significativo aumento degli incidenti stradali». Baldini annuncia già che se «le nostre richieste non venissero esaudite, faremo ricorso al Tar anche contro il nuovo calendario venatorio», dopo il ricorso presentato nei giorni scorsi contro il Piano Faunistico Venatorio approvato nel febbraio scorso dalla Regione.