ANCONA – Quasi il 24% degli studenti italiani ha consumato cannabis almeno una volta nella vita e quasi il 18% tra i 15 e i 19 anni ne hanno fatto uso nell’ultimo anno (2021). Emerge dalla Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze. L’età del primo uso si attesta tra i 15 e i 16 anni e solo nel 9% dei casi l’uso della cannabis si accompagna anche ad altre sostanze stupefacenti e, stando al report, uno studente consumatore su 5 ha un comportamento definibile “a rischio”.
Guardando alle motivazioni che spingono al consumo di cannabis, dalla Eu Web Survey condotta nel 2021, emerge che è spesso legato a necessità di coping, una strategia di adattamento. Tra le motivazioni più frequentemente riportate dai giovani consumatori, ci sono la riduzione dello stress (89,6%), lo svago (64,6% dei casi), il miglioramento del sonno (62,1%), la riduzione degli stati di depressione e ansia (41,7%) e il miglioramento delle capacità di socializzazione (33,9%).
«Dal lavoro con i giovani emerge effettivamente che il coping è un elemento fondante», afferma la dottoressa Francesca Mancia, psicoterapeuta dell’età evolutiva. «Si tratta – puntualizza – di una generazione che è stata molto sola in casa, appesantita dal Covid e che probabilmente sta vivendo anche un clima di abbattimento delle risorse di speranza rispetto a una serie di problematiche che stiamo vivendo a livello mondiale».
Tra queste la psicoterapeuta annovera «la guerra in Ucraina, ma anche tutti i sistemi economici che stanno un po’ saltando, insieme ai riferimenti normativi che si stanno un po’ “sciogliendosi”. Quello che i giovani stanno vivendo è sostanzialmente l’assenza e il deterioramento di una figura autorevole: i genitori sono sempre più preoccupati e distanti, mentre c’è un pressing notevole a livello dei sistemi di comunicazione via web con una iperproduzione di modelli collegati al sistema dell’uso di sostanze psicoattive come alcool e cannabis, ma anche l’induzione a una serie di comportamenti correlati».
Secondo la dottoressa Mancia, «l’uso della cannabis non è l’unico elemento su cui far convergere la riflessione, perché si tratta di un pattern, di individuazione e soggettivazione attraverso il vedersi in “serata” come dicono i ragazzi, un aspetto molto rinomato e ricercato, confuso con l’essere brillanti e proattivi, assertivi e adeguati».
Ma perché l’essere in “serata” viene confuso con altri stati? «Perché essere in “serata”, per la maggior parte dei soggetti, si riduce nel mettersi in una condizione di fragilità, annullando la capacità di comprendere le situazioni di limite e pericolo, e soprattutto agire l’impulso, che può anche essere seduttivo, aggressivo, distruttivo, potendo poi dire di non averne avuta la consapevolezza».
La dottoressa Mancia fa notare che l’uso della cannabis e di altre sostanze psicoattive, spesso è correlato «alla possibilità di sfuggire a dei sistemi limitanti autorevoli che non sentono più, e poter giustificare a sé stessi o agli altri comportamenti riprovevoli o autolesivi, attraverso il dire a sé stessi una enorme bugia, e cioè nel sentirsi di non essere stati nel pieno delle loro facoltà. Un aspetto che stiamo osservando molto frequentemente specie nei più giovani che vanno a fare serata in discoteca e così possono concedersi delle trasgressioni, anche molto complesse per poter sperimentare una sorta di stordimento, ma anche di identificazione con i comportamenti e le “normative” del gruppo, assolutamente disfunzionali».
Insomma, una “scusante” con cui «spiegano di aver vissuto abusi, attivato sistemi di maltrattamento anche rispetto a soggetti fragili e lo spiegano alle istituzioni dicendo che in realtà erano in “serata”, avevano bevuto e assunto delle sostanze. Un cortocircuito del sistema morale, etico, ma soprattutto una enorme bugia che dicono a sé stessi perché questi meccanismi sfuggono solo in parte, mentre l’altra parte viene cavalcata da soggetti che hanno delle spinte oppositivo-provocatorie e antisociali».