ANCONA – «Diamo fastidio a gioiellieri e associazioni di categoria ma non truffiamo la gente. Chi ha comprato diamanti poteva guadagnare fino al 4% all’anno. Era ed è un investimento sicuro. Perizie alla mano dimostreremo al momento opportuno chi ha ragione». Dopo il blitz delle Iene alla Baraccola e alla messa in onda (mercoledì) del servizio sul presunto scandalo diamanti, parla Maurizio Sacchi, l’amministratore delegato della Diamond Private Investment, la società specializzata nella vendita di pietre preziose con sede proprio ad Ancona. «Fino a qualche anno fa eravamo i leader mondiali per la vendita di diamanti da investimento – spiega l’amministratore – adesso, dopo le trasmissioni televisive è un anno che non lavoriamo più. Le banche hanno fermato le vendite». Sacchi ha aperto la Dpi nel 2005, in via Totti, alla Baraccola, nella città dove ha vissuto fin da bambino.
«Sono nato in Romagna ma ho sempre vissuto ad Ancona e adesso abito a Loreto – dice l’amministratore – ho sempre lavorato in questo settore come dipendente poi mi sono messo in proprio. Ho voluto aprire la mia società qui, nel territorio dove vivo. È un anno che nonostante il fermo lavorativo continuo a pagare i miei dipendenti, un centinaio tra impiegati e funzionari che girano. Dopo queste accuse infondate stiamo spostando il lavoro in Europa». Diversi risparmiatori intervistati da Report e dalle Iene hanno sostenuto di aver perso soldi investendo in diamanti, acquistati dalla Dpi tramite le banche, il cui valore non sarebbe stato quello effettivamente pagato. «Sono persone spinte da associazioni di consumatori – continua Sacchi – abbiamo perizie che dimostrano il valore sostenuto. Poi, se si fa riferimento al listino Rapaport, quello che dà indicazioni di riferimento all’ingrosso, non può essere preso come esempio di confronto».
Sacchi spiega come lo stesso Rapaport avverte sul fatto che il suo listino non rappresenta alcun indice ufficiale dei diamanti, bensì una propria opinione sul prezzo di partenza all’ingrosso, che non contempla, ad esempio, né le particolarità di taglio (che incide sensibilmente sul prezzo), né i costi di importazione, di certificazione, di qualità, né le imposte quali l’Iva, né tanto meno le spese di commercializzazione e le altre voci economiche necessarie a condurre un simile commercio. Il vero problema sottolineato da Sacchi è la mancanza di un mercato dove chi ha acquistato diamanti ora non può rivenderli. «Bloccando le vendite – dice l’amministratore della Dpi – non c’è il mercato secondario dove chi ha fatto l’acquisto può rivendere il diamante. Prima funzionava così, c’è chi lo rivendeva anche dopo 7-8 giorni. Chi ha comprato non è stato uno sprovveduto. Ci sono stati clienti che ci hanno contattati e sono venuti da noi, abbiamo avuto reclami ma abbiamo rassicurato tutti. Quando ripartirà il mercato potranno rivenderli senza problemi. Chi ha comprato diamanti non deve rivenderli a tutti i costi ma consiglio di tenerli per 10 anni e stare tranquilli. Non hanno comprato carta straccia. Il mercato si riprenderà». Sacchi ha ottenuto recentemente, dal Tar, la sospensione della sanzione che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva inflitto alla Dpi (un milione di euro) «per pubblicità ingannevole – dice l’amministratore – ma non per le accuse mediatiche, la stessa authority ha riconosciuto la correttezza della determinazione del prezzo di vendita da parte di Dpi. La pronuncia del Tar è per ottobre».