ANCONA – Claudio Pinti dovrà scontare 16 anni e 8 mesi. La sentenza nel processo d’appello al cosiddetto “untore dell’Hiv”, arrivata intorno alle 19,30 di questa sera, ha confermato la condanna in primo grado. Pinti era stato infatti riconosciuto colpevole di omicidio volontario e lesioni gravissime nei confronti di Giovanna Gorini e Romina, le due donne contagiate con il virus dell’Hiv alle quali non aveva comunicato di essere sieropositivo.
Giovanna Gorini, madre di sua figlia, era morta nel 2017 per un tumore legato al virus, ma lui aveva sempre negato le sue responsabilità, come ha fatto anche oggi in Aula. Durante una mezz’ora circa di dichiarazioni rese spontaneamente, Pinti ha detto di avere informato la compagna morta di essere affetto dall’Hiv e di aver avuto con lei rapporti protetti, inoltre ha anche negato di avergli impedito di curarsi. Per quanto riguarda Romina, l’altra donna contagiata, Pinti non ha negato le sue responsabilità e le ha chiesto perdono. La donna presente in Aula però è non si è pronunciata. L’untore è stato assistito dal nuovo legale Massimo Rao Camemi, che ne aveva chiesto l’assoluzione.
L’udienza fiume, iniziata alle 10 di questa mattina quando Pinti è arrivato dal carcere di Rebibbia, si è conclusa dopo le 16 quando è iniziata la Camera di Consiglio. Pinti da un paio di mesi avrebbe iniziato a curarsi, cosa che prima aveva invece sempre rifiutato perché negazionista.
Soddisfatta per la conferma della condanna Romina: «Sono contenta che sia rimasto https://youtu.be/SzmSkP-5bS8tutto invariato – ha detto – ogni volta per me è una pena che si aggiunge a quelle che ho già. È stata fatta giustizia. Ringrazio la corte d’appello e il Pm per la loro umanità. Questa sentenza dà un senso a ciò che mi è successo e a quanto è successo a Giovanna Gorini».