ANCONA – Dopo Gaza, Libano e Mar Rosso, il conflitto in Medio Oriente continua ad estendersi e sta coinvolgendo anche il Pakistan. La zona è ormai una polveriera. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Severini, docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata.
Professore, come vede questa fase? Quali i rischi se il conflitto non si risolve entro breve termine?
«Effettivamente la situazione è davvero preoccupante e testimonia come gli equilibri e le relazioni internazionali siano in continua trasformazione. La dinamicità della Cina e in subordine della Russia, alla ricerca di nuovi mercati e zone d’influenza per contrastare l’egemonia statunitense e delle istituzioni occidentali, trova un riscontro proprio nel fatto che Mosca e Pechino si sono dette, nelle ultime ore, estremamente preoccupate per la situazione in Pakistan, Iraq e Iran. Tuttavia, è bene ribadire che sono preoccupazioni di parte, mentre sarebbe auspicabile un intervento dell’ONU, dato che tutti e tre i Paesi ne fanno parte. Sulla catastrofe umanitaria di Gaza e sullo stato di guerra permanente proclamato da Netanyahu parlano innanzitutto le cifre: la maggior parte delle 25.000 vittime sono donne e bambine. Quanto al ribadito rifiuto del leader israeliano a uno Stato palestinese, si accorgerà prima o poi di aver compiuto un passo falso: la soluzione in Medio Oriente non può altro che essere quella di due Stati per altrettanti popoli».
In Europa c’è preoccupazione per i danni prodotti al commercio marittimo dai raid degli Houthi alle navi mercantili che passano davanti alle coste dello Yemen. Che scenario si profila?
«Anche le istituzioni europee hanno espresso ufficialmente analoga preoccupazione, interessandosi soprattutto all’involuzione del Mar Rosso che comporta il blocco dei traffici e il rialzo del costo dei trasporti. L’escalation militare nello Yemen e nel Mar Rosso costituisce un autentico disastro per la popolazione civile, già colpita gravemente da quasi 9 anni di guerra: oltre 21 milioni di persone, oltre i due terzi della popolazione, necessitano disperatamente di cibo, acqua e assistenza salvavita. Gli Houthi (Huthi) non sono una novità: in quanto gruppo armato dello Yemen, in prevalenza sciita zaydita è nato nel 1992, anche se è diventato molto attivo, in funzione anti-governativa, nel corso del ventunesimo secolo. Anche in questo caso si è scelto di andare avanti a forza di continui attacchi militari tra USA e ribelli e lo stesso Biden ha dichiarato poche ore fa che bisogna intensificare questi attacchi perché finora non avrebbero funzionato. Finché la guerra, la violenza e le devastazioni – specie sulla popolazione civile – non avranno passato la mano agli accordi, non potremo far altro che temere ulteriori involuzioni».
Quali possono essere le vie d’uscita dal conflitto?
«L’unica via di uscita è la cessazione immediata dei conflitti perché, continuando, non potranno che portare a una degenerazione della situazione e della sua stessa percezione a livello planetario. Torno a ripetere: la guerra non è mai la soluzione e la diplomazia internazionale deve tornare a far valere considerazioni di carattere generale e umanitario sugli interessi particolari. Questa è la soluzione di una contemporaneità che guarda a un futuro di pace, crescita e mutua collaborazione».