ANCONA – Costrette a rimanere chiuse fra le mura domestiche, le persone con un diverso orientamento sessuale e una diversa identità di genere hanno patito in maniera particolare la fase di lockdown imposta per limitare la diffusione del coronavirus. Una emergenza nell’emergenza che non ha fatto altro che amplificare ancora di più il senso di isolamento di queste persone che vivono spesso già nell’emarginazione. Una situazione critica che vede le donne ancora una volta fra le più penalizzate. «Abbiamo avuto una impennata del 70% di richieste di aiuto da parte delle donne lesbiche nelle settimane successive al lockdown» dichiara la dottoressa Sabrina Frasca, operatrice dell’associazione Differenza Donna l’ong (organizzazione non governativa) che dal 1989 gestisce servizi di sostegno, accoglienza e rifugio per le donne vittime di violenza nel Lazio e in Campania.
«Dopo un primo momento nel quale le misure restrittive avevano spiazzato tutti, grazie anche alle massicce compagne mediatiche e alle App messe a disposizione per chiedere aiuto, sono arrivate moltissime richieste di sostegno da parte delle donne lesbiche» osserva la dottoressa. La coabitazione forzata in famiglia è stata molto dura, specie per quelle persone che non hanno ancora fatto coming out o che lo hanno fatto ma non sono state accettate dal proprio nucleo familiare. Insomma chi già viveva in uno stato di tensione ha visto la sua situazione peggiorare, come evidenzia Sabrina Frasca. Ad aggravare il quadro, ora che le misure restrittive si stanno allentando c’è «l’incertezza del futuro» che pesa su queste persone come un macigno «per l‘impossibilità di capire come uscire dalla situazione che si è venuta a creare», ritrovando anche quella autonomia economica che in alcuni casi è venuta a mancare perché magari si è perso il lavoro, o che è messa in pericolo.
Inoltre c’è stato anche il problema di accedere alle case di accoglienza che sul primo momento non sono riuscite a garantire una risposta per tutte, ma che sono comunque riuscite a far sentire meno sole le donne lesbiche attivando servizi di sostegno telefonico con video chiamate e chat. «Ora la situazione sta ritornando alla normalità», osserva la dottoressa, ma intanto il lockdown ha mostrato una piaga ancora aperta, quella delle persone Lgbtiq (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer) che proprio in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia impone una riflessione sulla necessità di far uscire dall’emarginazione queste persone e di garantire loro pari diritti.
«Le donne lesbiche possono subire violenza sia nel contesto di coppia che in quello familiare, dove non sono accettate per il loro orientamento sessuale – prosegue – . Si tratta spesso di donne giovani che vivono ancora nelle famiglie di origine e oltretutto in un Paese, l’Italia, che non garantisce adeguati servizi di ospitalità». Una situazione aggravata dalla cultura che vede ancora latente il concetto di uomo-padrone che nella coppia lesbica può essere impersonificato da un partner mettendo in atto quelle dinamiche tristemente note che vedono le donne fra le vittime di una triste escalation di violenze e femminicidi. Insomma una cultura dove lo stereotipo purtroppo è ancora molto condizionante e la parità di diritti è ben lontana. «L’Italia in questo senso è molto indietro rispetto agli altri paesi europei nel riconoscimento dei diritti delle persone Lgbtiq e non esiste ancora una legge che riconosca come reato i crimini di odio commessi verso queste persone. Nonostante sia stato istituito un osservatorio purtroppo non c’è ancora una rilevazione efficace ed è difficile avere dati proprio perché non essendo riconosciuto come reato non si può rintracciare fra le denunce».
Insomma una violenza che resta sommersa e che vede molto raramente le persone Lgbtiq sporgere denuncia a causa proprio della cultura predominante. «Lottiamo per una società diversa – conclude – nella quale le differenze vengano valorizzate e riconosciute come risorsa», questo è il messaggio che deve accompagnare la giornata internazionale contro l’omofobia.
Una situazione, quella dell’emarginazione, che investe anche gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer e che è ancora troppo presente come mostrano i dati di Hate Crimes No More Italia lo studio che ha raccolto dati relativi a episodi di crimini d’odio commessi contro queste persone: dall’insulto alla minaccia, dalla violenza fisica e verbale al danneggiamento di proprietà, dalla discriminazione sul lavoro alla persecuzione online. E la fotografia che ne emerge è molto triste: l’83% delle persone Lgbtiq vittime di crimini d’odio non hanno segnalato a nessuna realtà istituzionale quanto subito. Un problema annoso che può essere superato sia con l’approvazione di una legge italiana contro l’omobitansfobia che attraverso percorsi formativi ad hoc per la prevenzione, il contrasto alla violenza e al bullismo, osserva Danilo Musso, psicoterapeuta esperto in sostegno alle persone Lgbtiq: «Mi auguro che non solo ci sia presto una legge che tuteli le persone contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere – commenta Musso – ma che si possano iniziare a raccontare le persone gay lesbiche e trans associandole anche a parole come libertà, coraggio, amore, solidarietà proprio perché la comunità Lgbt conosce molto bene questi termini».
Quello delle discriminazioni è un fenomeno ancora fin troppo diffuso come sottolinea la consigliera di parità della provincia di Ancona Pina Ferraro Fazio, che insiste affinché ci si occupi adeguatamente, e in ottica di rete, del contrasto alla discriminazione di genere, affrontando anche i diversi temi legati l’orientamento sessuale ed all’identità di genere. «Sono ancora troppo frequenti i casi di sofferenza sul piano dello sviluppo e dell’autonomia e come consigliera proseguirò in questo compito di tutela per il contrasto
delle discriminazioni di genere e o per orientamento sessuale ed identità di genere».