ANCONA – «Gestire la fase due non sarà facile. Occorre molta prudenza». Interviene così il professor Andrea Giacometti, primario della Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale Torrette di Ancona, sull’allentamento delle misure restrittive e sulla ripresa di alcune categorie di attività produttive, in vigore dal 4 maggio. Una sfida che si può vincere, secondo il primario, a patto di adottare tutte le misure di sicurezza previste, dal distanziamento interpersonale, ai dispositivi di protezione. E proprio su questo il professor Giacometti spezza una lancia in favore delle mascherine chirurgiche che, in alcuni casi, «vengono descritte come meno efficaci», ma che se da un lato «è vero che non sono fatte per proteggere chi le indossa ma piuttosto gli altri», dall’altro «se le indossassimo tutti, la trasmissione del virus si ridurrebbe di ben 36 volte, praticamente a un livello di sicurezza alta».
Un aspetto fondamentale, se si considera che le Marche hanno pagato un caro prezzo in termini di vite per colpa dell’epidemia di Coronavirus. Nella nostra regione, infatti, come osserva il primario «il tasso di mortalità da Covid-19 è del 14%, alta rispetto alla media nazionale e mondiale».
L’ultimo rapporto Istat, redatto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, mostra che in Italia nel mese di marzo c’è stata un’impennata nei decessi che hanno registrato un +49% rispetto a marzo 2019. A livello regionale è in Lombardia che si riscontra il picco con un +185% nel mese di marzo. Subito dietro Emilia Romagna (+70%), il Trentino Alto-Adige (+65%), e le Marche, la Liguria e il Piemonte (+50%).
Sul fronte provinciale le più colpite in termini di vite umane sono Bergamo (568%), Cremona (391%), Lodi (370%), Brescia (290%), Piacenza (264%), Parma (208%), Lecco (174%), Pavia (133%), Mantova (122%), Pesaro e Urbino (120%).
Perché le Marche hanno pagato un prezzo così salato? «Già da prima di Natale stavamo osservando numerose polmoniti interstiziali, segno che forse il virus stava già circolando, anche se questi decessi non sono stati diagnosticati come Covid» spiega Giacometti. «In Italia, rispetto alla Germania, mortalità e contagi si sono distribuiti in maniera molto diversa nella popolazione: in Germania il virus ha fatto molte meno vittime fra gli anziani, comprese le case di riposo, mentre ha contagiato di più i giovani». Tutta colpa, secondo il primario, «di una diversa socialità» fra i due Paesi: «gli anziani nelle case di riposo hanno molti meno contatti con l’esterno, con i familiari, invece la vita giovanile che si svolge fino a tarda sera nei pub ha favorito molti contagi nelle fasce più giovani della popolazione».
Intanto in Italia si sperimentano nuove terapie. Fra queste, sta mostrando risultati incoraggianti il plasma con gli anticorpi sviluppati dalle persone guarite dal Covid-19. In Italia si sta sperimentando al San Matteo di Pavia e al Carlo Poma di Mantova. «Per il plasma terapeutico iperimmune ho personalmente sottoposto al Comitato etico regionale il protocollo, spero venga approvato giovedì prossimo», dichiara Giacometti.
Nell’attesa che arrivi una cura definitiva il virus sembra mutare e dare origine a nuovi sintomi, fra i quali alcuni hanno osservato tremori e orticaria. «Il virus Sars-CoV2 non sembra in grado di fare grandi mutazioni, tuttavia già non è più lo stesso partito dalla Cina – spiega – . Se mutasse molto avremmo ancora più problemi con il vaccino. Non è possibile affermare con sicurezza che alcune manifestazioni cliniche siano correlate a virus mutanti. Certo il virus cercherà di adattarsi all’ospite mutando, perché a nessun essere vivente conviene uccidere chi gli dà da mangiare. Oggi Sars-CoV2 provoca danni perché siamo nuovi per lui. Con il tempo cambierà e forse causerà sintomatologia diversa».