ANCONA – Dall’inizio della pandemia di Covid-19 i progressi compiuti in campo medico scientifico hanno permesso in tempi record di avere a disposizione diverse armi efficaci per contrastare il virus: dai vaccini (quattro quelli attualmente autorizzati dall’Ema: Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson) agli anticorpi monoclonali impiegati per evitare il rischio di ospedalizzazione quando il paziente è ancora a casa, fino ad arrivare alle terapie utilizzate nei reparti ospedalieri nei regimi di ordinaria, sub-intensiva e intensiva.
Abbiamo affrontato il tema delle terapie impiegate in sub-intensiva per trattare i pazienti che hanno contratto l’infezione da Covid-19, con il massimo esperto aziendale degli Ospedali Riuniti di Ancona, il dottor Aldo Salvi, direttore del Dea (Dipartimento Emergenza e Accettazione) di II*livello, nonché direttore della Medicina d’Urgenza.
Dottor Salvi, quali sono le terapie a cui vengono sottoposti i pazienti positivi al virus nei reparti sub-intensivi, prima di giungere in terapia intensiva?
«Le unità semi-intensive o come io preferisco chiamarle sub-intensive in pratica si collocano a metà tra i reparti ordinari e le terapie intensive rianimatorie. Hanno una funzione importante nella organizzazione generale dell’assistenza ospedaliera, poiché assicurano adeguata assistenza ai pazienti critici che non potrebbero essere adeguatamente assistiti nei reparti ordinari, salvaguardando i letti intensivi per i pazienti ancora più compromessi. Ci sono dati ormai assodati che gli ospedali che si sono dotati di letti subintensivi hanno ottenuto una riduzione dei decessi del 40% associata ad una contemporanea riduzione dei costi assistenziali di circa il 30%.
Le unità subintensive hanno quale prerogativa principale quella di poter monitorare costantemente i parametri vitali del paziente per poter intervenire tempestivamente in caso di deterioramento degli stessi: ci sono apposite scale per poter avere una visione di insieme dei vari parametri combinati. La subintensiva che dirigo è dotata di un sistema di monitoraggio multi-parametrico che agli usuali parametri (polso, pressione, frequenza respiratoria, temperatura, saturazione) è in grado di rilevare costantemente la gittata cardiaca, cioè quanto sangue il cuore è in grado di mettere in circolo ad ogni battito: questo parametro fondamentale per assistere i pazienti in shock o in scompenso cardiaco, in precedenza rilevato ponendo cateteri nelle arterie o direttamente nel cuore, è rilevato dal nostro sistema lo in modo del tutto incruento, cioè senza la necessità di collocare sonde o cateteri all’interno del cuore o dei vasi».
Il dottor Salvi precisa che a questa capacità di monitorare il paziente in modo continuo «si associa la possibilità di assicurare la ventilazione non invasiva, in tutte le sue varie modalità (casco, maschera, C-PAP, Ventilazione non invasiva vera e propria, cannule nasali ad alti flussi); l’ultrafiltrazione del sangue (sottrazione della componente acquosa dal sangue), fondamentale in caso di insufficienza renale o cardiaca grave; la somministrazione di farmaci in modo continuo mediante pompe di infusione spesso collegate o gestite da sistemi computerizzati. Gli operatori oltre ad avere competenze specifiche per gestire le macchine, sono anche addestrati a tutte le procedure mini-invasive a letto del paziente, all’ecografia pluri-distrettuale, all’incannulamento di vene centrali. Tutte queste competenze sono state necessarie per assistere i 550 pazienti Covid positivi transitati nella nostra area subintensiva nelle precedenti ondate. Esse si sono ovviamente aggiunte ai farmaci specifici “anti covid” e a tutti gli altri farmaci che sono stati necessari per gestire le complicanze. Attualmente non siamo area Covid, ma siamo sicuramente pronti a mettere a disposizione competenze e tecnologia se necessario».
Sono in corso o in vista sperimentazioni o impiego di nuove terapie o farmaci?
«Più che nuovi farmaci, si sono consolidate le conoscenze sui farmaci in precedenza utilizzati. Sono emerse sicure evidenze di beneficio dell’associazione di Desametasone con anticorpi monoclonali (o similari) in grado di inibire-modulare le molecole della risposta infiammatoria ed immunitaria, indicati nelle forme più gravi di malattia. Ci sono dati di beneficio del farmaco antivirale Remdesivir, che dopo alterne vicende, un recente studio ne ha sancito l’efficacia con una riduzione decessi indubbiamente significativa e ci sono dati di beneficio delle eparine a basso peso molecolare date in dosi adeguate.
Questi sono i farmaci attualmente ritenuti fondamentali nel trattamento delle forme moderato-severe di covid, ma le conoscenze in questo ambito sono in continua e rapida evoluzione. Vorrei anche aggiungere che oltre ai farmaci propriamente anti-covid, sono essenziali altri farmaci necessari per gestire le complicanze (cardiache, renali, neurologiche) che sono spesso la causa del cattivo esito: anche in questo ambito non ci sono sostanziali novità ma abbiamo imparato ad ottimizzare dosaggio e indicazioni».
Quali sono le terapie più promettenti?
«In questo momento non stiamo dando assistenza pazienti Covid-positivi, ma stiamo osservando una netta riduzione dell’età media dei contagiati: nel 2020 l’età media dei pazienti visitati al pronto soccorso era di 59 anni e dei ricoverati 64 anni con un tasso di ricoveri del 68%. Nei primi 5 mesi del 2021 l’età media dei visitati in Pronto Soccorso è stata di 62 anni, mentre dei ricoverati è stata di 65 anni con un tasso di ricovero del 56%; dal giugno l’età media dei visitati è stata di 49 anni e l’età media dei ricoverati è stata di 58 anni con un tasso di ricovero del 45%. Questo progressivo abbassamento dell’età media dei contagiati non solo ha una rilevanza epidemiologica, ma anche clinica perché lascia prevedere un minor numero di complicanze che, come detto sopra, sono spesso quelle che determinano il cattivo esito. Con questo non voglio dire che non ci saranno forme gravi o anche molto gravi, ma ne prevediamo in numero decisamente minore. Per parlare di efficacia dei farmaci, tutti quelli citati sopra si sono dimostrati efficaci, ma sono tutti farmaci indicati nelle forme ormai conclamate di malattia. È ovvio che l’ideale sarebbe disporre di farmaci in grado di prevenire o almeno abortire la malattia sul nascere. Non sono un esperto in questo settore, ma sono in studio nuovi anticorpi monoclonali ed un farmaco antivirale che dati all’esordio della malattia potrebbero bloccarne l’evoluzione».
I vaccinati contro il Covid devono essere curati con le stesse terapie?
«Si certamente, se si contagiano le cure sono esattamente le stesse. Comunque, come è noto, abitualmente la malattia è meno grave».