ANCONA – Nel giorno in cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annuncerà i dazi nei confronti dei prodotti europei, affrontiamo il tema con gli industriali marchigiani per analizzare il possibile impatto sull’economia marchigiana. L’annuncio sarà fatto oggi alle 22 ora italiana, per ora si sa solamente che tra le possibili opzioni c’è quella di un dazio fisso del 20% su tutte le importazioni che potrebbe colpire anche i Paesi alleati. Ne parliamo con Robero Cardinali, presidente Confindustria Marche.
Sui dazi qual è la preoccupazione maggiore in questo momento? «Ad oggi, oltre ai dazi in sé, la preoccupazione è per l’incertezza, perché abbiamo assistito nelle ultime settimane a diversi cambi di orientamento ed ancora oggi non è ben definito in cosa consisterà la politica dei dazi americana, a livello di percentuali e di settori interessati, questo rende instabili i mercati. È evidente che gli Stati Uniti, essendo il primo mercato extra UE per le imprese italiane, rappresentino una destinazione importante. Oltre al dato squisitamente economico, ci potrebbero essere ricadute in termini di relazioni, investimenti diretti e sviluppo di progetti di ricerca e innovazione».
Il settore fabrianese del bianco, già in crisi, è quello che rischia maggiormente? «I numeri indicano che l’export negli Usa nel 2024 per il comparto marchigiano delle apparecchiature elettriche vale circa 68 milioni di euro. Ci sono altri settori che nello stesso mercato fanno registrare volumi sensibilmente più consistenti, penso alla meccanica, come la pelletteria, i prodotti in metallo ed il mobile».
Auspica una reazione italiana o dell’Europa? «Senza dubbio auspico una soluzione diplomatica europea, all’interno della quale l’Italia non può che giocare un ruolo di primo piano, perché storicamente ha un rapporto forte con gli Stati Uniti, un export significativo e delle relazioni commerciali consolidate. La soluzione non è lo scollamento del vecchio continente, tutt’altro, più l’Europa è coesa e rapida nei processi decisionali, più può contribuire a sostenere la competitività delle imprese».
La convince l’ipotesi di convertire alcuni settori del manifatturiero per l’industria militare? «Sarei molto cauto in questo senso, perché parliamo di una conversione che non si può improvvisare né realizzare dall’oggi al domani. Sono settori profondamente diversi non solo per tipologia, ma anche per logica di produzione, per portare avanti un percorso del genere servono investimenti molto alti e tempistiche non brevi. Mi concentrerei di più sull’importanza di tutelare a livello europeo la produzione delle nostre auto, orientandoci su una transizione che ci porti verso una neutralità tecnologica».