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Diritto alla disconnessione, Barbaresi (Cgil): «Riconoscimento importante, ora regolamentare»

Approvato alla Camera l'emendamento che riconosce per la prima volta a chi lavora in modalità agile il diritto a staccare da strumentazioni tecnologiche e piattaforme informatiche

Smart working (Foto di Margo Konstantinova da Pixabay)

ANCONA –  «Soprattutto se si lavora da casa è necessario poter distinguere con precisione il tempo del lavoro da quello della vita privata». Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil Marche, commenta così il riconoscimento del diritto alla disconnessione per chi lavora in smart working.

È quanto prevede l’emendamento al decreto Covid approvato dalla Commissione Lavoro e Affari Sociali della Camera. L’emendamento riconosce per la prima volta ai lavoratori che svolgono l’attività in modalità agile, il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati.

Un ricorso, quello alla disconnessione, che, come prevede l’emendamento, viene introdotto per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, e che non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi.

Un traguardo, se si considera che fino ad oggi in Italia il diritto alla disconnessione non è stato mai pienamente garantito. A parte l’articolo 19 della legge 81 del 2017, che stabilisce tempi di riposo, non è stato mai chiarito se i confini dell’irreperibilità siano da annoverarsi nelle pause dall’orario di lavoro o nelle ore di tempo libero.

Daniela Barbaresi, Cgil Marche

«Il riconoscimento del diritto alla disconnessione è importante, considerato il numero di lavoratori e soprattutto lavoratrici che a seguito della pandemia lavorano in smart working» evidenzia Daniela Barbaresi.
La segretaria generale Cgil Marche fa notare che «una volta superata l’emergenza, è necessario aggiornare la disciplina complessiva del lavoro agile, ma oltre alla legge servono anche la contrattazione collettiva a partire dai contratti nazionali di lavoro che devono regolare anche questa materia».

Una modalità di lavoro che può rappresentare una opportunità per tanti lavoratori, ma che se non regolamentata può finire invece per costituire un limite. Secondo l’agenzia europea Eurofound, nell’ultimo anno il 40% dei lavoratori per la prima volta hanno sperimentato lo smart working, e il 38% hanno dichiarano di lavorare anche durante il tempo libero.

L’iperconnessione che ha contrassegnato la fase pandemica ha avuto ripercussioni sulla salute mentale di molti lavoratori, che si sono visti erodere sempre di più i tempi dedicati al riposo. Un periodo di iper-lavoro  che ha scatenato stress nei lavoratori agili, aggiungendo ulteriore pressione allo stress causato dalle restrizioni e dall’ondata pandemica.

Esaurimento, ansia e burnout (stress lavorativo) sono dietro l’angolo perché lo smart working ha comportato l’allungamento, quasi sempre non retribuito, della giornata lavorativa. Le donne in particolare sono state quelle che hanno pagato il prezzo maggiore di questa situazione, specie durante i periodi di lockdown, perché al lavoro agile si è aggiunta anche la dad dei figli, con giornate lavorative di fatto “infinite”.

Alessia Tombesi, Psicologa e Psicoterapeuta

«L’incapacità dei lavoratori di avere un loro spazio personale – afferma la psicoterapeuta Alessia Tombesi – , con le chat lavorative operative h24 e sette giorni su sette, hanno creato delle importanti situazioni di stress e di burnout, favorendo la formazione di dipendenze estreme dall’attività lavorativa».  La psicoterapeuta fa notare che con le restrizioni imposte dalla pandemia, i lavoratori non hanno avuto «neanche l’occasione di poter evadere e scaricare lo stress, acutizzando delle realtà depressive in maniera molto forte».

«Il lavoratore deve sapere che c’è un orario – prosegue – e al di fuori di quello deve essere libero e sentirsi libero di poter vivere la propria vita, la propria famiglia, i propri interessi, senza doversi sentire in colpa».

La psicoterapeuta sottolinea l’importanza di mettere dei paletti sui tempi dedicati all’attività lavorativa,  pena il rischio di incorrere nel «bunrnout e di perdere se stessi e di sviluppare depressioni e dipendenze. Il lavoro è una parte importante della vita, ma è uno dei satelliti, non deve essere l’unico, né il tutto».