ANCONA – In zona bianca discoteche, sale e locali da ballo possono ripartire ma con il limite del 35% di capienza al chiuso. C’è il via libera del Comitato tecnico scientifico. Le attività, chiuse dal febbraio del 2020, erano state le prime a fermarsi a causa delle pandemia, e ad oggi, a distanza di quasi 20 mesi, non hanno ancora riaperto i battenti, con l’unica eccezione delle discoteche con piste all’aperto (una rarità) e con capienza al 50%.
Una riapertura soggetta però ad alcune regole. Una su tutte il Green pass obbligatorio per accedere ai locali, insieme alla registrazione obbligatoria dei clienti, per consentire un eventuale tracciamento in caso di positività al virus. Tra i dettami a cui devono assoggettarsi i locali spuntano anche gli impianti di aereazione senza ricircolo d’aria, l’uso obbligatorio dei bicchieri monouso, la pulizia e la sanificazione dei locali, la garanzia della possibilità di frequente igienizzazione delle mani.
La mascherina invece viene limitata solo agli spostamenti all’interno del locale, ma non è obbligatoria in pista, per cui si potrà ballare senza protezione facciale. Ma lo “spiraglio” del Comitato Tecnico Scientifico non piace ai gestori dei locali, ormai sul piede di guerra. Il limite viene infatti considerato come troppo stringente.
«Questi signori che decidono della vita del settore locali da ballo, sanno di cosa stanno parlando?» lamenta Maurizio Casarola della Asso Intrattenimento.
«Il 35% di capienza significa decretare la nostra morte. Così facendo ci spingeranno a diventare tutti fuorilegge per poter vivere». Il problema è quello di coprire i costi ingenti dei locali, tra affitti, utente e personale, con una capienza così ridotta.
Il gestore del Melaluna Centerdance di Castelfidardo fa notare che mentre per discoteche, locali e sale da ballo è stato fissato un limite di capienza al 35% al chiuso, per teatri e cinema si va verso l’80% al chiuso (100% all’aperto), mentre negli stadi verso il 75% e nei palazzetti sportivi al chiuso verso il 50%. Insomma capienze ben superiori a quelle imposte per i locali del divertimento.
«Non abbasseremo la testa – aggiunge – non siamo untori e i nostri locali non sono focolai di Covid. Sono 19 mesi che siamo chiusi, ormai non ne possiamo più». L’associazione di categoria minaccia azioni legali a tutela del settore, nel caso in cui le capienze non saranno riviste.