ANCONA- «Il teatro è aggregazione, è socialità. Ci allena a non essere superficiali e limitati». Adriano Ferri è un drammaturgo, ha 39 anni ed è di Offagna. Da 20 anni si dedica al teatro: scrive testi e libri, realizza spettacoli teatrali in qualità di regista e attore, insegna teatro ai bambini, ai ragazzi e agli adulti.
Nel 2014 è stato il regista de “Il calapranzi” di Pinter; attore in “Viva l’Italia”, il testo di Dacia Maraini portato in scena dalla compagnia Teatro Manet di Senigallia. Tra i suoi lavori come drammaturgo “Colomba nera”, testo a favore del Nobel per la Pace alle donne africane e “Vite positive”, spettacolo sull’hiv prodotto dall’Anlaids Ancona. Per ”Antigone”, prodotto da Centro Teatrale Senigalliese e in scena questa sera (26 febbraio 2019) al Teatro Lauro Rossi di Macerata, Ferri ha scritto testi originali che integrano l’opera di Sofocle. Lo scorso anno ha pubblicato “Fuochi di Giugno”, libro sui moti anarchici del 1914 scoppiati ad Ancona, edito da Affinità Elettive. In futuro vorrebbe scrivere anche dei romanzi.
Dopo l’esperienza teatrale di due anni in Colombia, Adriano Ferri è tornato a casa, nelle Marche. Il teatrante anconetano spiega chi è il drammaturgo, figura poco conosciuta e lontana dai riflettori, e l’importanza del teatro per i giovani e per gli adulti.
Signor Ferri, come si è avvicinato al mondo del teatro e della scrittura?
«Mi sono avvicinato all’arte attraverso la musica e il cinema. A 20 anni ho cominciato a frequentare corsi di avviamento al teatro, sono andato a farli anche in Spagna. Tornato ad Ancona ho iniziato a lavorare con una cooperativa teatrale. La scrittura è stata un passaggio seguente e gratificante. È bello vedere quando la parola scritta prende voce sulla scena e viene interpretata dagli attori».
Ci racconti della sua esperienza in Colombia.
«L’esperienza in Colombia è legata all’attività teatrale. Sono partito con un’associazione milanese come volontario in un a missione di padri scalabriniani, ordine cattolico che si occupa delle popolazioni migranti. La Colombia è il terzo paese al mondo per sfollati interni, c’è una guerra civile da 60 anni e problemi come corruzione e produzione di cocaina. Mi trovavo in una città al confine tra Colombia e Venezuela. Ho lavorato per due anni nelle baraccopoli con adolescenti e bambini, facevamo laboratori teatrali. Erano ragazzi davvero in gamba, da loro ho ricevuto molto».
Che cosa è per lei il teatro?
«Il teatro è un’arte, un linguaggio, una disciplina con diverse sfaccettature che aiuta a comprendere l’essere e il reale. Aiuta le persone a farsi delle domande e a cercare delle risposte».
Quali tematiche le piace affrontare nei suoi testi?
«Mi piacciono le tematiche sociali, il rapporto con la giustizia, indagare nel passato. Mi piace sviscerare la natura dell’uomo e delle relazioni tra esseri umani. I miei testi si rivolgono a chiunque voglia conoscere altre prospettive, punti di vista».
Dove trova l’ispirazione?
«L’ispirazione si cerca costantemente, a volte arriva da sola quando meno te l’aspetti, altre volte non arriva mai. Cerco l’ispirazione dal vivere quotidiano, dall’esperienza personale, dalle persone a me vicine. Ad esempio, un brano che ho scritto per “Antigone” parte da un pronome utilizzato da una persona a me molto cara. Mi piacciono molto gli aneddoti, le curiosità, le coincidenze in relazione alle tematiche che scelgo o mi vengono proposte».
Recentemente il cantante Simone Cristicchi ha parlato del teatro come mezzo per diffondere la storia in quanto ha un impatto maggiore rispetto ai libri. Che cosa ne pensa?
«Condivido quello che dice Cristicchi, la storia può essere raccontata anche attraverso il teatro. Il teatro è molto comunicativo, coinvolge il pubblico e dura nel tempo».
Perché, secondo lei, è importante avvicinare i giovani al teatro? Oggi c’è ancora interesse per questo mondo oppure è diminuito rispetto agli anni passati?
«È importante avvicinare chiunque al teatro non solo i giovani. Il teatro è luogo di condivisone e scambio. Si esce trasformati, fa sorgere domande e spinge a riflessioni. È in grado di cambiare le dinamiche intellettuali e collettive. Ci allena a non essere superficiali e limitati. In me ha risvegliato la curiosità. Purtroppo al giorno d’oggi c’è troppo poco interesse per questo mondo».
Il teatro è aggregazione?
«Il teatro è aggregazione, è socialità».
Progetti futuri?
«Sto lavorando ad una riduzione del testo “Fuochi di giugno” in quanto voglio accompagnare la presentazione del libro ad una sorta di performance di circa mezz’ora che sto portando avanti con due miei amici musicisti, Domenico Maria Mancini e Giorgio Staffolani. Il 23 marzo andrà in scena a Serra de’ Conti, all’interno de L’Altra Fedora Festival. E poi sto pensando ad un romanzo, sono in fase di studio e sto mettendo da parte il materiale».
Come è la situazione del teatro nelle Marche?
«Il teatro nelle Marche non è molto roseo. Ogni borgo possiede un teatro, spesso sono belli anche se piccoli e ci sono tante compagnie. Molte volte però ci si trova di fronte ad una percezione un po’ troppo giocosa del fare teatro, come se fosse un qualcosa di superfluo, non di necessario. Di possibilità ce ne sarebbero, di materiale anche. La politica – statale, regionale e comunale – dovrebbe fare di più».