Ancona-Osimo

Il fagiolo di Laverino vince il sisma: è presidio Slow Food

Il 21 settembre il riconoscimento al gustoso legume, la cui coltivazione è stata riscoperta dopo un periodo di abbandono. A portarla avanti una decina aziende agricole. Ugo Olivieri: «Il terremoto ha creato un senso di appartenenza e il numero di produttori sta crescendo»

ANCONA – Tenace come la terra in cui nasce, raccolto e sgranato a mano uno ad uno, una “rarità” coltivata in un piccolo centro del maceratese dove vivono appena cento abitanti. È davvero speciale il fagiolo di Laverino, la tipicità che cresce sui monti marchigiani nel territorio di Fiuminata, e che ha ottenuto il 21 settembre scorso il presidio Slow Food.

Una produzione di nicchia, portata avanti da una decina di aziende agricole, la cui storia si intreccia inevitabilmente con gli eventi sismici che hanno colpito le Marche nel 1997 e nel 2016 e che hanno contribuito a spopolare ulteriormente queste zone.
La produzione di questo legume, abbandonata negli anni 60, era infatti ripresa già a partire dalla fine degli anni ’90: Renzo, un anziano del luogo, ex sarto, aveva custodito gelosamente il seme di questo fagiolo per preservarlo dall’estinzione, con la ripresa della coltivazione lo ha messo a disposizione dei coltivatori. Poi con il terremoto la prima battuta di arresto, ripetutasi nel 2016. I marchigiani però, si sa, sono forti e non mollano, così il piccolo e tenace fagiolo si è preso la sua rivincita sul sisma ed è stato premiato per la sua rarità e qualità da Slow Food.

«Il terremoto ha creato un senso di appartenenza al territorio – racconta Ugo Olivieri, uno dei 5 principali produttori del fagiolo di Laverino –  e il presidio ci ha dato la possibilità di aumentare il numero di produttori che stanno ulteriormente crescendo».
Tanti i progetti delle aziende agricole che lo coltivano, fra i quali la birra realizzata a partire da questo legume e una crostata al fagiolo.

Alla nascita del presidio ha contribuito anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano, che sostiene numerosi progetti di recupero agricolo nelle aree terremotate del Centro Italia. Una bella storia di solidarietà per la tutela delle tipicità.

Obiettivo del presidio, salvaguardare le biodiversità del territorio, supportare i giovani coltivatori nel lavoro di valorizzazione di questa varietà, recuperare terreni agricoli abbandonati, ma anche far conoscere le altre produzioni locali, come i pecorini e i salumi.

La fama di questo legume arriva da lontano, compariva già all’inizio dell’800 negli “Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia”, dove si narrava già del suo gusto delicato e della rapidità nella cottura dovuta alla buccia molto sottile.
Si coltiva intorno ai 600 metri di altitudine, nei terreni lambiti dal fiume Potenza dove un tempo si produceva la canapa. Arriva a piena maturazione nel mese di settembre quando viene raccolto mano: i baccelli si lascino asciugare al sole, si sgranano e si mettono all’interno di ceste di vimini lasciate esposte al sole per qualche giorno, così da farli asciugare. Un procedimento, quello di coltivazione e di raccolta, che rispecchia in pieno la tradizione locale, così come quella gastronomica, dove viene valorizzato in succulenti piatti tipici. Le massaie maceratesi lo portano in tavola “all’uccelletto”, cotto con aglio, salvia e pepe, ma è molto apprezzata anche “in umido” con le cotiche.

Il piccolo borgo di Laverino incastonato fra le montagne

Un piccolo gioiello di cui la comunità va fiera tanto da aver istituito nel 2003 la festa del fagiolo di Laverino, che si svolge ogni anno l’1, 2 e 3 novembre a Laverino di Fiuminata.

Intanto Slow Food sta lavorando anche su altri fronti: procede infatti la messa a punto del disciplinare per conferire il presidio ai paccasassi, il finocchio marino che cresce spontaneamente tra gli scogli del Conero. Quattro i produttori coinvolti nel progetto: Rinci, Ambrosia, La Vela nell’orto e Marina Accattoli. Oltre al lavoro sul disciplinare è anche caccia allo “sponsor” che possa sostenere economicamente il nuovo presidio.

«Ci crediamo perché è un prodotto del territorio che va valorizzato – spiega il fiduciario della condotta Slow Food Ancona Conero, Roberto Rubegni – un raro esempio di erba spontanea usata a scopo alimentare che alcuni coraggiosi agricoltori hanno iniziato a coltivare». Tra i requisiti presenti nel disciplinare, la coltivazione che deve avvenire in maniera naturale e senza interventi genetici o chimici, la lavorazione del prodotto che deve prevedere ad esempio aceto non industriale e l’area di coltivazione nei terreni costieri tra Ancona e il Conero.

 

 

 

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