Ancona-Osimo

Femminicidi, la criminologa Margherita Carlini: «Occorre lavorare di più sui giovani»

La criminologa Margherita Carlini affronta il tema delle relazioni maltrattanti dopo il femminicidio avvenuto ieri nell'ascolano

ANCONA – Per uscire dalla spirale della violenza «il primo passo è parlarne e cercare aiuto». Questo il messaggio della criminologa Margherita Carlini rivolto alle donne che si trovano ‘intrappolate’ in relazioni maltrattanti. Ha scosso l’opinione pubblica l’ennesimo femminicidio avvenuto ieri nella piccolissima frazione di Ripaberarda (Ascoli Piceno) nel territorio del comune di Castignano, una realtà che conta poco più di 90 anime.

«Spesso le donne non denunciano per vergogna e per paura del giudizio sociale – spiega – ma bisogna trovare la forza di parlarne e di allontanarsi. Chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522 è una decisione determinante che può fare la differenza» dice la criminologa, evidenziando che «sottrarsi da sole ad una relazione violenta non è semplice, perché comporta di rivedere le scelte compiute nella vita e gli investimenti emotivi fatti, serve un sostegno» come quello che può essere offerto da un centro antiviolenza o anche dal dialogo con qualcuno di cui si ha fiducia.

Quali sono i segnali premonitori che possono indicare una situazione di crisi?
«Dovrebbero metterci in allerta tutti quei segnali che indicano un tentativo di limitazione della libertà personale della donna e di controllo, come ad esempio impedire alla donna di frequentare i propri familiari, le amiche, le colleghe. Anche in caso di dubbio è bene rivolgersi ai centri antiviolenza senza attendere di avere la certezza di trovarsi in una relazione maltrattante».

Perché c’è ancora tanta resistenza a denunciare?
«Ogni situazione è a sé, ma spesso la resistenza può nascere dalla paura del domani, da difficoltà economiche e di autodeterminazione della donna, da condizionamenti culturali. Tra i motivi ricorrenti anche il convicimento che bisogna restare insieme al proprio partner per i figli, quando sono presenti, un pensiero ancora molto radicato, che ostacola il percorso di emancipazione della donna».

Si parla tanto di prevenzione, quali sono a suo parere le misure efficaci da mettere in campo?
«Occorre lavorare di più sui giovani, sia in un ottica di veicolare una nuova forma educativa, senza stereotipi di genere, sia nell’ottica del rispetto dell’altro e della scelta di interrompere una relazione senza conseguenze». Un processo di educazione e sensibilizzazione che secondo la criminologa non può tralasciare gli adulti: «Con gli adulti bisogna lavorare sull’autocoscienza e la consapevolezza. Gli uomini, in particolare, dovrebbero porsi delle domande sul loro modo di vivere le relazioni, spesso la violenza passa attraverso gesti e comportamenti che non vengono percepiti come violenti, come ad esempio atteggiamenti sessisti, situazioni che devono arrivare ad un livello di consapevolezza».