Ancona-Osimo

Festa della Repubblica, Severini dell’UniMc sulle sfide 76 anni dopo: «Riportare a votare consistente maggioranza della popolazione»

Dal giorno a partire dal quale si celebra la Festa della Repubblica, in ricordo del voto del 1946, di strada ne è stata fatta sul fronte dell'acquisizione e del riconoscimento dei diritti. Ne abbiamo parlato con Marco Severini

ANCONA – Dal passaggio dell’Italia dal sistema monarchico a quello repubblicano, decretato dall’esito del referendum, al voto alle donne, riconoscimento di un diritto fondamentale, prima volta in cui nella storia italiana si svolsero votazioni a suffragio universale, il 2 giugno ha segnato una svolta per il paese. Nel giorno in cui si celebra la Festa della Repubblica, in ricordo proprio di quel referendum che si svolse nel 1946 e segnò una tappa storica per l’Italia, di strada ne è stata fatta sul fronte dell’acquisizione e del riconoscimento dei diritti.

Il 18 giugno di quello stesso anno, vennero resi noti i risultati del referendum e la Corte di Cassazione proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica Italiana. Ebbe così fine il Regno d’Italia, che dal 1861 (data dell’unificazione) per 85 anni fu guidato dai Savoia. Fu la nascita della repubblica parlamentare.

Sono trascorsi 76 anni da allora, ma quei valori sono oggi, più che mai, attuali. Professor Marco Severini, docente di Storia dell’Italia Contemporanea all’Università degli Studi di Macerata, come si possono trasmettere questi valori alle nuove generazioni? «Sarebbe già importante insegnarli, questi valori, con grande attenzione: nelle scuole e all’università. Invece la storia resta una disciplina maschile e maschilista, per lo più odiata poiché viene insegnata con datati metodi trasmissivi. L’influenza dei social è ormai onnivora (anche se esistono significativi esempi di “resistenza”), l’esaltazione dell’individualismo e del materialismo tocca ogni giorno record inauditi. Insomma, tutto ciò e altro distraggono dai valori in cui hanno creduto le generazioni precedenti. Sarebbe però sbagliato metterla sul confronto generazionale. Bisogna parlare con i ragazzi, tanto più in tempi in cui il dialogo e l’ascolto sembrano fare capolino».

Il professore universitario evidenzia che in 76 anni, da quel 2 giugno del 1946 «sono stati formati in Italia 67 governi, un’anomalia che non ha riscontri nel mondo occidentale. Il voto è l’elemento cruciale di una democrazia, ma il giorno in cui ci saranno meno consultazioni vorrà dire che il nostro Paese avrà trovato una certa stabilità. I problemi strutturali, come noto, sono altri: la questione morale, il potere invisibile e la conseguente mancanza di trasparenza, il prevalere della rappresentanza degli interessi sulla rappresentanza politica, l’occupazione del potere da parte dei partiti, la lentezza del potere decisionale, la permanente tentazione di aprire crisi di governo accorciando le legislature in base agli umori ondivaghi dei sondaggi. Poi ce n’è uno ancora più grande: un elettore su due, praticamente, non va a votare».

Tra gli anni ’70 e ’80 sono stati raggiunti grandi traguardi di rinnovamento, penso al diritto di famiglia, alla riforma sanitaria, al divorzio, al diritto all’aborto, allo statuto dei lavoratori, all’obiezione di coscienza, al codice in materia di violenza sessuale. Insomma, il Paese è profondamente cambiato negli anni, quali sono le sfide più urgenti da affrontare? «In primis, riportare a votare una consistente maggioranza della popolazione e, allo stesso modo, coinvolgerla nella vita politica e civile. Bisognerebbe quasi azzerare l’attuale vita politica, sempre più autoreferenziale e incapace di rinnovarsi».

Secondo il professor Severini la fase attuale è cruciale. «Siamo giunti a un punto di non ritorno: parlano sempre le stesse persone; i meccanismi decisionali sono per lo più ab alto; i cittadini non si sentono coinvolti; c’è una profonda emergenza educativa e morale. Questo è il vero snodo: rieducare un popolo ai valori democratici e repubblicani. A partire dal 2 giugno che insieme al 25 aprile è l’asse simbolico della nostra democrazia. Ma chi il 2 giugno compirà qualcosa durante la giornata che darà un senso a questa festa? La Chiesa continua a invitare a santificare le feste, lo Stato, fatta eccezione per il Capo dello Stato e pochi altri, nicchia. A Senigallia, dal 2016, alcune associazioni declinano il 2 Giugno in quanto Festa della Pace. Può essere un incipit convincente, tanto più in tempi di guerra».