ANCONA – Professor Fabio Polonara, docente di Fisica tecnica industriale all’Univpm, con la questione dell’indipendenza energetica dai paesi esteri tornata prepotentemente di attualità, ritiene che il gas naturale nascosto nel Mare Adriatico, al largo delle Marche, possa essere significativo per risolvere i problemi di approvvigionamento?
«Per capire quale ruolo potrà avere quel gas nascosto sotto il Mare Adriatico è necessario prima inquadrare il problema generale. Circa 20-25 anni fa l’Italia ha compiuto due importanti scelte strategiche in campo energetico: una giusta e una sbagliata, secondo me. La scelta giusta fu quella di affidare al gas naturale il compito di trasportare l’Italia verso la decarbonizzazione, che già allora si capiva sarebbe stata una necessità da perseguire nel futuro più o meno immediato. Sbagliato fu considerare la Russia come un fornitore affidabile, da cui dipendere per oltre il 40% delle importazioni del gas naturale necessario per produrre energia elettrica e riscaldare gli ambienti abitati in inverno. Oggi che Putin usa il gas russo come arma contundente nei confronti dell’Europa che si è schierata con l’Ucraina ci accorgiamo di quell’errore: avremmo dovuto diversificare di più il mix di fornitori di gas naturale e, magari, tenere pronti all’utilizzo i pozzi di gas dell’Adriatico dismessi per evitare il rischio di subsidenza (abbassamento del suolo) che lo sfruttamento dei giacimenti al largo della costa avrebbe potuto causare nelle terre affacciate sull’alto Adriatico. Dobbiamo anche riconoscere che è facile dirlo oggi, col senno di poi, ma solo un anno fa nessuno avrebbe potuto immaginare che saremmo finiti in queste condizioni. Perché, bisogna confessarlo, le prospettive per l’inverno non sono affatto buone e ci sarà da soffrire: dentro casa ci toccherà indossare maglioni e giacche a vento e forse nemmeno basterà. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo dire che la crisi durerà solo per un inverno, perché già dall’estate le misure di prevenzione messe in atto dall’Italia e dall’Europa ci permetteranno di risolvere la situazione».
Secondo il docente dell’Università Politecnica delle Marche, «la risoluzione del problema passerà attraverso una serie di misure il cui scopo principale sarà quello di rendere ampia e variegata la compagine di fornitori di gas naturale e anche di diversificare le modalità di produzione dell’energia elettrica. In questo senso – aggiunge – anche rimettere in funzione le centrali elettriche a carbone è, sempre a mio parere, una mossa corretta perché può essere fatto immediatamente. Ma deve essere accompagnata da una decisa, convinta e rapida sterzata verso una crescita sostenuta e non episodica della produttività elettrica da rinnovabili (fotovoltaico ed eolico in primis) perché solo questa strategia ci garantirà un futuro privo di contingenze come quella attuale. In un tale contesto, in cui ogni contributo, pur piccolo, diventa utile, può avere senso anche ripensare allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale in Adriatico. In particolare di quelli che sono immediatamente sfruttabili perché, lo ripeto, il grosso della crisi lo sentiremo nel prossimo inverno e poi nel 2023. Successivamente la diversificazione delle fonti ci aiuterà a fare a meno del gas russo».
Dalla scoperta di un giacimento di gas naturale quanto tempo occorre per arrivare alla sua effettiva estrazione?
«Il percorso non è certo rapido. Occorrono molti mesi, mentre l’emergenza attuale richiede soluzioni immediate, e lo sfruttamento di nuovi pozzi non è tra queste. Rimane il fatto che il sottosuolo del Mare Adriatico è ricco di gas naturale, pur con il rischio di subsidenza di cui si è detto. La Croazia sta sfruttando la sua parte. Occorre fare delle scelte strategiche, governate anche da una certa cautela. Si dice che le riserve italiane di gas naturale (non solo in Adriatico) ammontino a quasi 350 miliardi di metri cubi, a fronte di un consumo annuale di circa 75 miliardi di metri cubi. Non è poco, ma con esse non si risolve il problema dell’approvvigionamento energetico nazionale per il futuro. Nel 1990 la produzione nazionale copriva la metà del fabbisogno italiano (ma allora si consumavano, in un anno, solo 30 miliardi di metri cubi). Oggi la produzione nazionale è scesa al 5% del consumo, perché i pozzi più vecchi si sono esauriti e non se ne sfruttano di nuovi. C’è spazio per far ricrescere la produzione nazionale con nuove estrazioni, ma questa scelta va fatta con cautela, nella consapevolezza che si tratta di un mattone di una nuova costruzione fatta di tanti altri mattoni e i mattoni principali dovranno essere costituiti dalla produzione rinnovabile e, nell’immediato, dalla diversificazione dell’approvvigionamento di gas naturale, utilizzando anche il GNL (il gas liquefatto) attraverso l’installazione di qualche rigassificatore (ne servono altri 2-3, non di più), magari montato su nave.
Sul tema delle trivellazioni nel nostro paese si registrano forti opposizioni legate all’impatto ambientale, ritiene siano giustificate? «Ogni attività umana ha un qualche impatto sull’ambiente. La politica, cui competono le decisioni strategiche per il futuro della nazione, deve ponderare i pro e i contro e poi fare le proprie scelte. Il mio parere, già espresso, è che si debba virare con decisione verso uno sviluppo accelerato delle rinnovabili e si debba investire in ricerca e sviluppo per risolvere i problemi, ben noti, che esse ancora portano. Poi non vedrei negativamente una ripresa, ponderata e cauta, delle ricerche e dello sfruttamento dei giacimenti nazionali di fonti fossili. Non risolveranno tutti i problemi, ma un aiuto sono in grado di darlo. In questo momento, i vantaggi superano gli svantaggi».
L’altro fronte della polemica è legata ai giacimenti ormai esausti: qual è il destino delle trivelle una volta che il gas si è esaurito? Possono essere smantellate?
«In tutta onestà, a me questo sembra un aspetto del tutto marginale del problema che stiamo affrontando. Se qualcuno lo utilizza per sollevare polemiche, penso siano strumentali. Una volta che i pozzi sono esauriti, le piattaforme di estrazione possono essere impiegate in tanti modi utili: possono alloggiare installazioni per lo sfruttamento di energie rinnovabili (impianti eolici e fotovoltaici galleggianti, per esempio) o anche ospitare allevamenti ittici d’alto mare, dove il pesce allevato possa essere fatto crescere in modi compatibili col benessere animale. Insomma, c’è un ventaglio di possibili utilizzi che rendono le piattaforme di estrazione dismesse pronte a una seconda vita: una opportunità più che un problema».