ANCONA – «Ho ricevuto la prima dose di AstraZeneca il 22 febbraio e per la seconda, il 26 aprile, dovrei ricevere un vaccino a mRna quindi o Moderna o Pfizer». A raccontarci come procede la campagna vaccinale in Germania è Francesco Giacometti, terapista occupazionale marchigiano di 33 anni, che vive ormai da quasi 5 anni ad Althegnenberg, un piccolo comune tedesco, situato nel land della Baviera.
Due paesi, Italia e Germania, che hanno adottato una gestione della pandemia per certi versi molto diversa.
I VACCINI
Anche in Germania si è sviluppata una diffidenza in una parte della popolazione nei confronti del siero anglo-svedese che recentemente ha cambiato denominazione acquisendo quella di Vaxzevria.
Come ci racconta Giacometti c’è «abbastanza» paura, «ci sono state circa 9 morti correlate al vaccino e quasi 40 casi di trombosi dopo la prima iniezione di AstraZeneca», per questo la Germania ha «consigliato questo vaccino per le persone di età maggiore ai 60 anni», una linea seguita poi anche dall’Italia.
«Da noi un po’ di persone rinunciano a questo vaccino – spiega – ma molti miei colleghi o pazienti rifarebbero tranquillamente il vaccino AstraZeneca. Io, personalmente, non ho avuto nessun effetto collaterale dopo l’iniezione, alcuni miei colleghi invece hanno avuto febbre o forti mal di testa, ma dopo 2 – 3 giorni si sono sentiti meglio e nessuno ha avuto trombosi».
Al di là dei timori, seppur comprensibili, il giovane terapista occupazionale marchigiano sottolinea che «ricevere il vaccino è importante». «In Germania la Stiko, l’associazione tedesca per i vaccini, ha consigliato questo siero sotto i 60 anni e di fare la seconda dose con un vaccino a mRna perché, secondo loro, nei giovani ci sarebbe una maggior risposta immunitaria».
Il nostro Paese, l’Italia, ha invece perseguito una strada diversa per quanto concerne la seconda dose, confermando che chi ha ricevuto la prima somministrazione con il siero anglo-svedese, può ricevere anche la seconda dello stesso vaccino, e non di Pfizer o Moderna.
«Da metà aprile qui in Germania si comincerà a vaccinare con il Johnson & Johnson, ed hanno cominciato anche i medici di base ad eseguire le iniezioni», tanto che il Paese della Merkel al 9 aprile ha già somministrato 547.726 dosi di vaccino: 4.910.308 persone (5,9% della popolazione totale) sono state vaccinate completamente (con prima e seconda dose) e quindi sono già immunizzate, mentre in Italia sono 3.924.664 le persone immunizzate.
Sono 12.670.288 i tedeschi che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre in Italia sono 13.032.996. «In Germania – ci racconta Francesco – da pochi giorni si cominciano a fare più di 600.000 vaccini al giorno, grazie anche ai medici di base, ma la campagna vaccinale non sta andando benissimo, anzi, va un po’ a rilento».
LA PANDEMIA E LA SUA GESTIONE IN GERMANIA
Numeri a parte, la gestione della pandemia in Germania è ben diversa: «Qui si é sempre potuto uscire, ma i ristoranti fanno solo asporto o consegna, le palestre sono chiuse e i negozi ricevono solamente su appuntamento. Si lavora con le incidenze – prosegue – , ma si sta pensando dal 26 aprile di allentare un po’ le restrizioni, almeno in Baviera dove vivo».
Giacometti ci spiega che con una incidenza del virus da 0 a 50 ogni 100mila abitanti, «le restrizioni sono più leggere, da 50 a 100 si inaspriscono un po’: per esempio per andare a fare shopping devi avere un test negativo, ma qui sono tutti gratis e puoi testarti quante volte vuoi». Per entrare in un negozio, o in una galleria d’arte, ad esempio, è sufficiente avere da l’esito negativo del tampone antigenico rapido eseguito da almeno 24 ore. Con una incidenza sopra i 100 casi scatta il coprifuoco dalle 22 alle 5, come in Italia, solo che nel nostro Paese il coprifuoco c’è anche in zona gialla, la fascia di rischio che vede i locali aperti.
La mascherina è obbligatoria «nei mezzi pubblici, nei supermercati, nei negozi, ma all’aperto solo in luoghi molto frequentati, altrimenti non si usa».
Due gestioni differenti della pandemia, cosa ne pensa?
«Trovo molto più tranquilla la gestione adottata dalla Germania, rispetto a quella italiana: la sanità é molto meglio gestita qui, perché tanto per fare un esempio i tamponi o i test li passa lo stato e ci si può testare quante volte si vuole».
Francesco Giacometti, rappresenta uno dei tanti “cervelli in fuga” dal nostro Paese, giovani laureati che per avere una prospettiva occupazionale sono dovuti andare all’estero. Lo rifarebbe? «Si, qui mi trovo molto bene, lavorando come Terapista Occupazionale, ho trovato la mia dimensione, in Italia questa figura é molto sottovalutata e, nonostante abbia provato a cercare una occupazione, non ero riuscito a trovare niente per me».
Giacometti ci spiega che la terapia occupazionale (TO), definita anche Ergoterapia, è una disciplina riabilitativa che utilizza la valutazione e il trattamento per sviluppare, recuperare o mantenere le competenze della vita quotidiana e lavorativa delle persone con disabilità cognitive, fisiche, psichiche tramite attività. Si occupa anche dell’individuazione e dell’eliminazione di barriere ambientali per incrementare l’autonomia e l’indipendenza e la partecipazione alle attività quotidiane, lavorative, sociali.
Una figura professionale che opera nell’ambito della prevenzione e riabilitazione di soggetti affetti da malattie e disordini fisici o psichici, sia con disabilità temporanee o permanenti, utilizzando attività manuali, ludiche, di vita quotidiana, lavorando in ambito sanitario per aumentare l’autonomia e la partecipazione sociale. Un professionista con competenze certamente indispensabili nel nostro Paese, dove peraltro si è formato, laureandosi in Scienze e tecnologie del fitness presso l’Università di Camerino, per poi proseguire gli studi all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti in terapia occupazionale e all’Ecampus di Novedrate.
Cosa dovrebbe fare secondo te l’Italia per frenare questo stillicidio di giovani laureati in fuga verso altri paesi?
«Dovrebbe investire sui giovani, dargli la possibilità di formarsi, e smettere di sottopagarli o di fare “mini contratti”. L’Italia dovrebbe lavorare soprattutto per cercare di riportare in Italia tutte le persone che sono partite per andare a cercarsi un futuro all’estero. In parole povere non dovrebbero più sfruttarci».