ANCONA – Droghe, alcol e altri comportamenti a rischio sono esperienze sempre più diffuse tra i giovani. Tra le nuove generazioni si diffonde la ricerca dello ‘sballo’ come testimoniato anche dalle cronache nazionali che proprio in questi giorni ha diffuso la notizia della morte di un 26enne che sarebbe avvenuta a seguito di inalazione di gas esilarante da un palloncino. Cosa si nasconde dietro a questi comportamenti a rischio? Ne parliamo con la dottoressa Francesca Mancia, psicoterapeuta dell’età evolutiva.
«Ciò che spinge le generazioni attuali a cercare di trovare spinte propulsive di fronte alle complessità del crescere, come riconoscimenti sociali e culturali – spiega l’esperta – è l’adeguarsi ad una stimolazione costante verso il raggiungimento di una dimensione di potere: i videogiochi, i contenuti nei social, le caratteristiche dei video che si possono vedere a ripetizione e che si possono scambiare.
Non dimentichiamo l’utilizzo dell’aggressività ed il canale di sfogo tramite il bullismo, quel tornare indietro verso dimensioni di disuguaglianze di genere e disuguaglianze sociali che oggi contraddistingue l’adolescenza, sono tutte scelte comportamentali e relazionali collegate a stimolazioni costanti e continue del criterio di immedesimazione con l’Altro che garantisce al giovane un’appartenenza.
Viviamo in una società che è facilmente fruibile ma, al tempo stesso, terribilmente perturbante perché è fondata su un’etica del visibile come autorizzato a tutto. Questo risponde per altro all’esigenza degli adolescenti di sovvertire le regole costituite e di sperimentarsi in termini di opposizione e provocatorietà. Dunque è possibile filmarsi nei momenti di autodistruzione, distruzione, umiliazione».
Secondo la psicoterapeuta l’adolescenza di oggi, in maniera simile a quella di un tempo, utilizza l’opposizione e la trasgressione andando però verso lo «spegnimento del pensiero etico e del pensiero profondo trasformativo sulla conseguenza per l’Altro». L’influenza dei coetanei «è esattamente quella di un tempo, cioè elevatissima, il problema attuale invece cambia, consiste nella capacità di raggiungere il maggior numero di coetanei attraverso i social per esistere. Una opzione di vita irreale ma visibile che è del tutto aliena ed esagerata rispetto a quella che potevamo aver vissuto nelle generazioni precedenti quando già vi era un’ampia fruizione di immagini da evocare, imitare, seguire, attraverso la televisione, i video, il cinema e le pubblicazioni. Oggi – aggiunge – con Internet e i social, questo essere aderenti ad una comunità ampia quanto vaporosa e mutevole, anche molto veloce, è particolarmente pregnante, potente e molto invitante in una mente in evoluzione».
La psicoterapeuta parla di «una comunità genitoriale del tutto simile a quella degli adolescenti, in quanto molto in difficoltà rispetto alla possibilità di frustrare le esigenze dei figli in nome di una corretta introiezione della regola sociale del rispetto. Sembrano muoversi genitorialità prive di una comunicazione profonda e di una conoscenza minima dei propri figli. Nessun giudizio però sui padri e madri, anche perché è molto difficile essere genitori oggi di ragazzi che scompaiono tra l’eterico dei social, dove trascorrono tantissimo tempo, specie nelle ore notturne e verso i quali hanno grande curiosità, ma anche difficoltà di declinazione dei messaggi reali». Gli adolescenti sono sottoposti a «’riti’ di passaggio molto veloci in cui i genitori non ci sono ad attenderli oltre la foresta da perlustrare da soli». Si propongono ad esempio riti di iniziazione alla vita ‘imposti’ dai videogiochi, dai siti di pornografia, nei quali «gli adolescenti si trovano soli», faccia a faccia con lo smartphone.
Quali i segnali di allarme a cui i genitori dovrebbero prestare attenzione?
«I segnali di allarme arrivano con una velocità notevole, sono tutti concentrati e vibranti senza premesse oggi perché il problema scoppia nella mente del soggetto sin dai 12 anni, in quanto molto spesso entra nella vita del ragazzo in maniera silenziosa attraverso la fruizione del cellulare piuttosto che dei video, la frequentazione di nuovi gruppi di adolescenti» e mentre i genitori pensano che i figli stiano acquisendo «una competenza tecnologica, in realtà stanno facendo un pessimo incontro fra la loro mente intossicata da proposte indecenti, una mente che è in età evolutiva, che transita in questo mondo a volte persino post umano, alieno, inquentante e inquietato».
Le famiglie come possono prevenire questi fenomeni?
«Credo che si debba ricostruire partendo da un’azione di coinvolgimento delle comunità, anche attraverso istituzioni che accolgono i ragazzi, attivando i giovani verso obiettivi di benessere comune, come ad esempio laboratori che valorizzino la natura, il vivere civile, le attività sportive etiche, esperienze di volontariato, la partecipazione sociale, la cura delle strutture scolastiche e dei parchi o piazze in cui ritrovarsi. Vanno riaperti i luoghi di incontro della città ed attivate esperienze laboratoriali anche di teatro, arte, musica, per soddisfare il desiderio degli adolescenti di emergere, lasciare tracce».
Come si possono educare le giovani generazioni a dire di no senza sentirsi esclusi dal gruppo e dalla socialità?
«La questione del dire di ‘no’ è veramemte dibattuta. I no vanno detti in età piuttosto precoci e vanno mantenuti con una certa coerenza. Servono per creare quella giusta frapposizione che l’adolescente cerca per poter emergere nella sua vita e nella sua individualità. Se non riusciamo a dire di no e colludiamo con l’esigenza di essere visti e apprezzati, non avremo modo di intercettare questi ragazzi. In realtà essi cercano non solo dei modelli ma anche dei limiti che possono essere superati con gratificazione, per esempio la competitività sportiva, la capacità di poter scegliere il proprio pensiero e di esprimerlo attraverso diversità di linguaggi. I genitori potrebbero sin dalla nascita dei loro figli avere la cura per “il valore della parola”, parlare ai bambini anche molto piccoli attraverso parole ‘calde’ che possono essere spiegate attraverso efficaci esempi».
Oggi i ragazzi, aggiunge l’esperta, hanno pochissima abilità di descrivere e raccontare, «preferiscono, quando non riescono a farsi capire, far vedere le emoticons, il video, e lasciare muto il pensiero». Occorre comunque e sempre ridurre il numero delle attività proposte in un giorno e puntare sull’approfondimento, dice, ricordandoci che «noia, lentezza e parole calde» sono concetti da rivalutare per aiutare il pensiero ad espandersi e a legarsi con il pensiero degli altri. L’accento della psicoterapeuta si sposta anche su «gentilezza e gratitudine» due valori che i genitori possono ancora tentare di trasmettere ai figli «come modus vivendi e come stile di interazione».