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Intelligenza Artificiale, Dragoni: «Migliora la qualità di vita ma non senza rischi»

Tra limiti e opportunità non si spegne il dibattito sull'Intelligenza Artificiale. Ne abbiamo parlato col professor Aldo Franco Dragoni, docente di Intelligenza Artificiale dell'Università Politecnica delle Marche

Aldo Franco Dragoni, professore di Intelligenza Artificiale all'Università Politecnica delle Marche

ANCONA – L’intelligenza artificiale è uno strumento che se da un lato promette di aiutare sia nel lavoro che nei processi creativi, dall’altro spaventa per i rischi che può comportare, dalla violazione del diritto d’autore al rischio che possa prendere sopravvento sull’uomo. Ma il futuro è già presente e la tecnologia corre a grandi passi. Abbiamo parlato di questo tema con il professor Aldo Franco Dragoni, docente di Intelligenza Artificiale presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche.

Professore sono più le opportunità o i limiti? «A mio avviso sono più i limiti. Ma purtroppo il graduale trasferimento verso algoritmi logici e bayesiani della capacità di ragionare e della responsabilità di prendere le decisioni appare quasi inevitabile. Questo in qualunque occupazione intellettuale: da quelle amministrative a quelle professionali, da quelle che comportano attività d’indagine, sia in campo medico che giudiziario, a quelle che richiedono l’emissione stessa del giudizio, financo a quelle che richiedono sforzi creativi. Tutto questo comporterebbe forse un miglioramento della qualità della vita umana, non so, ma quasi sicuramente a prezzo di una marginalizzazione del ruolo dell’Uomo, nel bene e nel male, nel piano della Storia».

L’intelligenza artificiale generativa è la più recente sbarcata sul mercato (da circa 1 anno) con l’obiettivo di ridurre i tempi nella preparazione di un testo o nelle immagini. Si rischia di perdere la scintilla creativa? «Forse sì, non lo so.
Ragionando per analogia, credo che l’avvento delle calcolatrici abbia un po’ inciso su quella umana di far calcolo mentale. Sempre per analogia, se confrontiamo a caso due testi prodotti da intellettuali, uno oggi ed uno cent’anni fa, credo che li troveremmo quasi incomparabili per profondità d’analisi, coerenza nel pensiero e lucidità nel giudizio.
Così potrebbe accadere anche per la ‘scintilla creativa’ nell’espressone artistica. Ma forse vale la pena distinguere qui due modalità d’utilizzo dell”AI generativa’: quella in cui essa la si adopera esclusivamente come strumento ausiliario da quella nella quale ci si affiderebbe ad essa in delega totale (ma dalla prima più alta modalità vedo difficile non
scivolare gradualmente verso la seconda). Nel primo caso si potrebbero effettivamente conseguire i consistenti vantaggi a cui lei accenna, con l’unico rischio d’uniformare gradualmente i modelli d’espressione artistica verso quelli di maggior successo (decretandone eventualmente di riflesso la successiva graduale perdita d’impatto). Nel secondo caso invece si otterrebbe un devastante appiattimento dell’arte verso espressioni assolutamente coinvolgenti, direi anche allucinanti, ma prive di contenuti, questo perché non s’avrebbe comunicazione artistica “da Uomo a Uomo”, ma solo “da Macchina a Uomo”, e purtroppo l’Algoritmo è un Dio senz’Anima».

Automatizzando i processi in azienda, si riduce lo spazio di espressione della capacità creativa e di lavoro dei dipendenti? «Se l”automazione’ a cui lei fa riferimento è quella dettata dagli algoritmi di IA secondo me la risposta è ‘si’, perché l’automazione stessa dei processi non potrebbe essere ulteriormente migliorabile. Soprattutto potrebbe venir meno l’aspetto motivazionale. La sensazione che si potrebbe provare è quella che ‘ormai la partita è persa!’ Ci si
potrebbe sentire come un giocatore di scacchi di fronte a ‘Deep Blue’, o come un giovane compositore che nasca oggi dopo secoli di produzione musicale in un mondo in cui, pur sconfinato, esistono solo 12 note a disposizione: ovvero la sensazione di poter solo impattare la partita o arrivare al massimo ad emulare ciò che è stato già fatto».

In che modo può funzionare l’interazione uomo – Ai? «Come ‘può’ funzionare lo vediamo ormai quotidianamente, per esempio semplicemente utilizzando il ‘navigatore’ per risolvere i nostri problemi di movimento: a piedi, in auto, con i mezzi pubblici, dentro la città o fra città diverse. Come ‘potrebbe’ funzionare in futuro lo possiamo forse capire guardando al rapporto fra un cagnolino ed il suo amorevole padrone. Questi si sente superiore al suo amichetto a 4 zampe, perché effettivamente lo è; ma il cagnolino, adorandolo, potrebbe anche guardare a lui come potentissimo ed insostituibile strumento per mangiare le crocchette, andare a fare la passeggiatina, ripulire le sue sporcizie, conoscere le cagnoline, farsi le coccole ed accomodarsi in una cuccetta la notte per riposare; strumento che a volte potrebbe non funzionare a dovere ma rimarrebbe comunque insostituibile. Eravamo lupi, potremmo star diventando cagnolini.
Eravamo parte dell’Umanità, potremmo ritrovarci domani dentro un immenso umanile».