ANCONA – Forti piogge che scaricano quantitativi ingenti di acqua a terra, facendo esondare fiumi e torrenti, frane, strade allagate, famiglie evacuate dalle abitazioni, feriti ma anche morti. Uno scenario che purtroppo sta diventando sempre più frequente nel Paese e che, come uno schiaffo in pieno volto, ci ricorda che il cambiamento climatico non è domani ma è già oggi e sta manifestando con durezza i propri effetti.
Dopo l’alluvione che il 15 settembre scorso aveva messo in ginocchio il Senigalliese e parte del Pesarese, causando 12 vittime accertate e una persona tutt’ora dispersa, si torna a parlare degli effetti del maltempo che questa volta hanno colpito più duramente l’Emilia Romagna, tuttavia senza risparmiare le Marche.
Quando accadono questi fenomeni sono tanti gli interrogativi: si poteva prevedere? Cosa si può fare per limitare i danni e cosa ci aspetta d’ora in avanti? «La nuova ondata di maltempo? Si tratta di un ciclone proveniente dal Nord Africa, eccezionale per dimensione, ma non per il tipo di fenomeno, un evento prevedibile e che infatti è stato ampiamente e correttamente previsto». A parlare è il meteorologo dell’Università Politecnica delle Marche, Giorgio Passerini, che interviene sul maltempo che ha colpito Marche ed Emilia Romagna.
«Questa tipologia di fenomeni è prevedibile con i modelli previsionali attuali – prosegue -, mentre per eventi come quello accaduto il 15 settembre servirebbero previsioni nowcasting, cioè a brevissimo termine (0-12 ore, ndr)».
Ci sono delle aree più esposte ai rischi di precipitazioni più intense? «Sono più esposte le città con una orografia complessa, ma per studiare le dinamiche degli eventi meteorologici eccezionali, così da prevederli, bisogna utilizzare dei software in grado di simulare cosa potrebbe succedere in caso di eventi del genere».
Con le elezioni amministrative ancora in ballo ad Ancona, dove bisognerà tornare alle urne per scegliere il primo cittadino, il consiglio del professor Passerini ai due candidati (Daniele Silvetti e Ida Simonella) è quello di «agire: questi fenomeni ci sono e ci saranno» occorre guardare con attenzione le aree più a rischio, ovvero quelle in prossimità dei corsi d’acqua, fiumi e torrenti, di zone soggette a frane.
Il meteorologo sottolinea la necessità di adottare un nuovo approccio. «Negli Stati Uniti – cita come esempio – in alcuni stati si danno incentivi a chi si sposta dalle aree più a rischio, fornendo una alternativa al luogo in cui si abita. Occorre far passare questo messaggio per evitare morti e feriti». Fondamentale anche il ruolo dell’informazione, soprattutto nelle aree più soggette ad allagamenti e frane. «Non è possibile che ancora oggi le persone si facciano trovare nei seminterrati quando è in atto una allerta rossa, specie se si abita vicino ad un corso d’acqua», secondo il meteorologo sarebbe «necessario facilitare l’allontanamento degli abitanti delle zone a rischio, fornendo loro una alternativa temporanea e maggiori informazioni preventivamente».
Tra le aree più a rischio l’entroterra, spiega, a causa dell’orografia del territorio caratterizzato da montagne: «Nell’entroterra piove una volta e mezzo – due volte in più rispetto alla costa, ci sono grandinate e temporali in più intensi, ma poi gli effetti dei fenomeni arrivano anche sulla costa».
Dopo quanto accaduto in autunno e adesso, in primavera, che estate dobbiamo aspettarci? «Quello che è successo non ha una influenza sull’estate, però c’è un allarme lanciato dal World Meteorological Organization dell’Onu su El Niño che secondo gli esperti potrebbe portare ad un surriscaldamento dell’Oceano Pacifico con temperature estive record e con ripercussioni anche in Europa. Possiamo dunque aspettarci una estate più calda della media di 1 – 2 gradi, ma anche una certa piovosità».
Il rischio con il surriscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano è che si generi una maggiore energia che poi si scarica al suolo con fenomeni meteorologici estremi. In ogni caso, conclude il professor Passerini, le piogge di questi giorni non hanno risolto l’emergenza siccità e «nel Nord del Paese, i fiumi principali non sono ancora tornati ai livelli normali».