Economia

Pesca, importazioni in crescita e prezzi bassi, così le marinerie sono crisi. Caldaroni: «Speriamo sulle nuove generazioni»

Il presidente delle Marinerie d'Italia evidenzia il calo dei prezzi causato dall'importazione di pescato estero a discapito del pesce locale. Il settore è stretto tra le nuove normative Eu e la difficoltà a reperire marinai

ANCONA – Caro gasolio, prezzi bassi, normative europee che vogliono limitare la pesca a strascico e difficoltà a trovare personale. Il mondo della pesca attraversa una fase estremamente complessa, un momento storico mai vissuto in precedenza.

Nonostante durante il periodo estivo la richiesta di pesce aumenta in maniera esponenziale, visto che le località costiere si riempiono di turisti ed i ristoranti che cucinano pesce sono spesso e volentieri sold out «i prezzi sono bassissimi – dice il civitanovese Francesco Caldaroni, presidente delle Marinerie d’Italia – basta pensare che vendiamo il merluzzo a 3,50 euro, massimo 4 euro, rispetto agli 8 euro a cui lo vendevamo in precedenza».

«Con i ristoranti pieni – prosegue – e la grande richiesta di pesce che c’è tradizionalmente in questo periodo il prezzo dovrebbe aumentare; invece, si è abbassato moltissimo». Una situazione, secondo Caldaroni, provocata dalle importazioni di pescato da paesi stranieri.

Francesco Caldaroni

«C’è una importazione molto forte – osserva – Questo fa scendere la richiesta di pescato fresco. Inoltre, manca la pubblicità al prodotto nazionale, basta accendere la televisione per accorgersi che nelle varie trasmissioni di cucina vengono proposte ricette che si basano soprattutto su pesci di importazione, come orate e spigole che arrivano dalla Grecia, come il tonno che incredibilmente non arriva dall’Italia, come il salmone che arriva dal Canada e dalla Norvegia, o come il persico».

Tra i pesci ‘nostrani’ figurano la frittura, la paranza, il merluzzo, la triglia, la coda di rospo, gli scampi, il gambero rosa, la pannocchia e le sogliole- L’appello degli armatori è quindi a scegliere sulle tavole dei ristoranti e nelle pescherie il pesce pescato nel mare Adriatico, fresco e sicuro grazie anche alle normative italiane, stringenti in questi termini.

«Con questi prezzi gli incassi sono scesi – dice – anche se il costo del gasolio è diminuito ancora lo paghiamo più del passato, tra 0,70 e 0,80 euro al litro. In un solo mese, quindi in 12 giorni di pesca, ho speso 14mila euro solo di gasolio, poi ci sono gli stipendi da pagare e anche se si guadagna poco ai dipendenti dobbiamo dare lo stipendio minimo garantito, una media di 1.400 euro al mese. In queste condizioni è difficile lavorare».

Pescherecci al Mandracchio

Accanto a queste difficoltà c’è anche quella del reperimento dei marinai: «Il personale non si trova proprio – spiega – e quando c’era stato il forte rialzo dei prezzi molti marinai hanno smesso di lavorare e preso il reddito di cittadinanza. In ogni caso gli italiani che vogliono fare questo lavoro sono pochissimi, e i marinai che si riescono a reperire sono per lo più tunisini e qualche indonesiano».

L’appello di Caldaroni è ai giovani. «Speriamo che la nuova generazione si avvicini al mondo della pesca – dice – Ci sono possibilità occupazionali in un momento in cui nel mercato del lavoro c’è crisi: si lavora solo tre giorni a settimana, gli altri quattro sono liberi e lo stipendio è buono, superiore a quello di altri lavori come ad esempio in fabbrica. Certo, all’inizio ci sono alcune difficoltà, bisogna combattere contro il mal di mare, il freddo e le intemperie, ma poi ci si abitua».

Secondo il presidente delle Marinerie d’Italia la vita a bordo non è più come quella che c’era in passato, grazie alla tecnologia introdotta nelle imbarcazioni, dove «meccanica ed elettronica tolgono la metà del lavoro. C’è da fare una gavetta, io ho iniziato a 14 anni – racconta – e da mozzo oggi sono capitano».

«Il problema – conclude – è che nessuno crede pi nella pesca, lo dimostrano anche le nuove normative, come il piano d’azione dell’Eu che vuole abolire progressivamente la pesca a strascico entro il 2030. A queste condizioni nessuno investe più sapendo che entro sei – sette anni rischia di chiudere. In questo modo si fa crollare un sistema e scomparire una professione che da lavoro, lasciando spazio alle importazioni estere, dalla Cina, dall’Africa e dal Vietnam».

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