Ancona-Osimo

Morto a 16 anni durante lo stage, Davide Scotti (Fondazione LHS): «La cultura della sicurezza si cambia quando cambiano i comportamenti»

Il mondo della formazione, del sindacato e degli studenti interviene sulla morte di Giovanni Lenoci, il 16enne di Monte Urano, deceduto a Serra de' Conti mentre viaggiava su un furgone durante uno stage di termoidraulica

ANCONA – «Quando succedono questi eventi l’attenzione si focalizza sul fatto che è morto un ragazzo giovane, durante uno stage: ma anziché guardare il dito, occorre guardare alla Luna, cioè cogliere la profondità di quanto è successo. In Italia purtroppo manca la cultura della sicurezza, sia nel mondo del lavoro, che sulle strade, che nella vita di ogni giorno». A parlare è Davide Scotti, segretario generale e promotore della Fondazione LHSLeadership in Health & Safety -,  che interviene sulla morte di Giovanni Lenoci, il 16enne di Monte Urano, morto lunedì a Serra de’ Conti mentre viaggiava su un furgone durante uno stage di termoidraulica.

Scotti, tra i più noti formatori italiani sul tema della sicurezza, con all’attivo numerosi congressi sul tema in ambito Europeo, sottolinea che «si è trattato di un incidente stradale – spiega – e il fatto che il supervisore del ragazzo sia stato sbalzato dall’abitacolo del furgone, in base a quanto riportato dai giornali, deve far riflettere: indossava la cintura di sicurezza?». Una morte avvenuta per infortunio in itinere, quella di Lenoci, per il quale la sua città ha proclamato il lutto cittadino per il 16 febbraio.

«Il rischio è che quando si parla di questi eventi lo si faccia in termini fatalisti trattando il problema come insormontabile – aggiunge – come di fatto spesso è, e senza invece portare l’attenzione su quei piccoli grandi comportamenti che possiamo controllare e che fanno sempre la differenza».

Davide Scotti e a destra Alessandro Nanni, Ambassador nelle Marche di Italia Loves Sicurezza, con i ragazzi dell’Itis di Torrette durante una campagna sulla sicurezza nelle scuole (immagine di repertorio)

«Bisogna lavorare sulla leadership – spiega – in primis di chi ha ruoli di responsabilità, sull’esempio: l’obiettivo concreto che ci dobbiamo dare tutti è quello di cambiare la cultura della sicurezza e da qui a 10 anni dimezzare gli incidenti mortali in Italia dove da 15 anni sono sempre sopra i mille l’anno. Nel nostro Paese muore sul lavoro una persona ogni otto ore, per non parlare degli incidenti stradali, 3.500 ogni anno».

Secondo il formatore in sicurezza, «occorre darsi un obiettivo concreto e realistico anche sul tema della sicurezza. Un diciottesimo obiettivo alla famosa Agenda Onu, una provocazione che abbiamo lanciato come fondazione per ridurre del 50% gli infortuni sul lavoro entro il 2030». Un obiettivo che secondo Scotti si può raggiungere solo «remando tutti nella stessa direzione: grandi aziende, associazioni, giornalisti, scuole, pmi, tutti abbiamo una responsabilità e un ruolo in questa partita. Va bene le proteste, ma chiediamoci cosa possiamo fare di più e meglio, e se siamo d’esempio per chi abbiamo vicino». «La cultura della sicurezza – conclude – si cambia quando cambiano i comportamenti».

Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil Marche

«Occorre riflettere sulla necessità di ripensare strumenti come tirocini e stage, ma anche fare il possibile perché i ragazzi proseguano il loro percorso formativo, senza uscire dal circuito scolastico – spiega la segretaria generale Cgil Marche Daniela Barbaresi -. Serve un intervento serio sul fronte della sicurezza sul lavoro: imprese, sindacati e istituzioni, ognuno deve fare la sua parte. Anche nella scuola, che in questi anni è stata oggetto di mille riforme, occorre garantire conoscenza e pensiero critico: vanno bene le esperienze nel contesto lavorativo, ma a è necessario che i progetti siano idonei e che i referenti siano messi nella condizione di poter seguire con attenzione le esperienze, senza il rischio di scivolare il “lavoro camuffato” da tirocinio».

Nelle marche nel 2021 sono stati 16.306 gli infortuni sul lavoro, 32 dei quali mortali e 2.359 in itinere, come quello accaduto a Giuseppe Lenoci. Guardando alle classi d’età, i più colpiti sono i giovani (fino a 29 anni) e i precari.

Alessia Polisini, Gulliver Sinistra Universitaria – Udu Ancona

Una tragedia, quella di Giuseppe Lenoci, sulla quale interviene anche il movimento studentesco Udu-Gulliver Ancona che per voce di Alessia Polisini, spiegando che «fa emergere nuovamente le domande e i forti dubbi che questo progetto di esperienza scuola – lavoro si porta con se. L’alternanza scuola lavoro è una pratica ad oggi piena di storture, un sistema che manda studenti e studentesse sui luoghi di lavoro senza reali tutele e senza obiettivi chiari nei percorsi di crescita e formazione».

Secondo il movimento «in un periodo come questo, dove moltissimi studenti e studentesse sono stati privati della didattica in presenza a causa della pandemia, alla quale non sono state trovate alternative e le richieste degli studenti e delle studentesse sono passate totalmente in secondo piano, è stato dato spazio ad un percorso che nella maggior parte dei casi risulta essere inutile e talvolta rischioso per gli studenti e le studentesse e manodopera senza costi per le aziende. La scuola – aggiunge – dovrebbe educarci ai diritti, a far conoscere le tutele dei cittadini e delle cittadine, dare gli strumenti per non essere sfruttati e sfruttate, mentre nella realtà si dà più importanza ad abituare gli studenti e le studentesse ad un mondo del lavoro precario, povero e pericoloso».

«La problematica vera» evidenzia Polisini «non riguarda solo l’alternanza scuola lavoro, ma tutta la sicurezza nei posti di lavoro, che risulta ancora estremamente scarsa in Italia. Per questi motivi continueremo a batterci insieme a studenti e studentesse delle superiori che da anni chiedono la revisione di uno strumento spesso infruttuoso e inadeguato e a lottare al fianco di lavoratori e lavoratrici per condizioni più sicure nel mondo del lavoro».