ANCONA – Era la notte del 24 agosto del 2016 quando una forte scossa sismica di magnitudo 6.0 colpì alle 3:36 del mattino il Centro Italia con epicentro situato tra Accumoli (in Lazio) e Arquata del Tronto (nelle Marche). La piccola frazione di Pescara del Tronto (Arquata) fu rasa al suolo. Ingente il bilancio delle vittime (299) e dei danni a case, patrimonio storico culturale, strade. Nella stessa notte un altro sisma di magnitudo 5.4 colpisce Norcia causando devastazione anche in Umbria e nella vicina Abruzzo.
Ma non è finita: il 26 ottobre del 2016 a soli due mesi dalla prima scossa, due nuovi terremoti sconvolgono l’Appennino Umbro-Marchigiano, colpendo l’area compresa tra i comuni di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. La prima scossa di magnitudo 5.4 colpì alle 19:11, la seconda due ore dopo, alle 21:18 (magnitudo 5.9). Il 24 agosto prese avvio una lungua sequenza sismica, quella che l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha definito se di Amatrice, Norcia e Visso.
La scossa più intensa però venne registrata pochi giorni dopo, il 30 ottobre del 2016, quando un sisma di magnitudo 6.5, il più forte mai registrato in Italia dopo quello dell’Irpinia, aggiunse ultreriore devastazione, allargando l’area del cosiddetto ‘cratere’ a 131 comuni compresi tra Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo. L’epicentro venne registrato tra Norcia (in Umbria) e Castelsantangelo sul Nera. Fortunatamente non ci furono vittime, ma i danni furono ingenti. Oltre agli edifici crollati il terremoto causò una spaccatura sul Monte Vettore ed ebbe un impatto idrogeologico sulla portata del fiume Nera.
E proprio sulla questione idrica, oggi, ad otto anni dal terremoto, intervengono i geologi delle Marche che parlano di «una nuova emergenza» che «si è affacciata sull’Appennino squassato dal sisma: quella idrica» incalza Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche. In una nota evidenzia che «così come in tante altre zone d’Italia, la lunga estate di temperature record e bassissima piovosità ha comportato gravi problemi anche nell’area colpita dal sisma. Dove già la condizione di partenza era svantaggiata: numerose sorgenti e captazioni idriche hanno subito importanti trasformazioni proprio a causa della sequenza sismica del 2016, con la portata che si è spesso ridotta e, in alcuni casi, è addirittura scomparsa».
Secondo Farabollini «si sta depauperando in modo grave la risorsa idrica del nostro serbatoio naturale: quello dei monti Sibillini, dove la neve è sempre più scarsa in inverno e la pioggia sempre più rara in estate. A ciò si aggiunge un altro tema, ben noto anche in altre regioni italiane: la fatiscenza della rete idrica, con perdite di rete inaccettabili in un Paese membro del G7. A mio parere, le tante risorse di cui gode la ricostruzione si sarebbero potute destinare anche al ripristino funzionale della rete acquedottistica».
Per quanto riguarda la ricostruzione Farabollini evidenzia nella nota che «il costo delle abitazioni sta raggiungendo i circa 3500 euro al metro quadro. Si tratta di un’enormità – dice -: neanche al centro di Roma o di Milano si raggiungono prezzi così elevati. Per dare un’idea, parliamo di aree in cui il prezzo di mercato degli edifici si aggira intorno ai 1000 euro al metro quadro». La proposta del presidente dei geologi marchigiani è quella di utilizzare le Sae (Soluzioni abitative di emergenza), le quali «secondo la legge 189 del 2016» una volta completata la ricostruzione privata, «dovranno essere rimosse con ripristino dei luoghi di origine», ma dal momento che «per realizzarle, il territorio è stato sottoposto a sbancamenti, terrapieni, bonifiche e urbanizzazioni come a Bolognola, Visso, Castelsantangelo sul Nera» per «non vanificare tutto questo lavoro sarebbe importante ragionare su un impiego di questi luoghi per aumentarne la ricettività turistica (o universitaria, nel caso di Camerino)».