ANCONA – «C’è stato un aumento dell’uso di alcool di circa il 200% e un consistente ricorso agli psicofarmaci». È questo uno dei primi effetti della pandemia di covid-19 sulla salute psichica degli italiani, ad un anno dai primi casi nel nostro Paese. Ad affermarlo è Paolo Crepet, psichiatra e sociologo.
È ancora presto per stimare la reale portata del fenomeno, «che non si può misurare mese per mese», ma richiederà degli anni, spiega lo psichiatra: «molto dipenderà dall’evoluzione che ci sarà nei prossimi mesi». Intanto l’Italia si ritrova quasi tutta in zona gialla, ad eccezione di poche regioni (Provincia autonoma di Trento, Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo che sono in fascia arancione e Provincia autonoma di Bolzano in fascia rossa), ma «questo colore giallo che si spalma per il Paese, e che vuol dire bar e ristoranti aperti, e dunque incontri, comporta un costo da mettere in conto», secondo Crepet.
Il riferimento è quello ad una maggiore diffusione del virus, dovuta alla più intensa socialità legata in parte alla riapertura di queste attività, e in parte ad una maggiore mobilità che va oltre i confini comunali. Secondo Crepet, «dobbiamo avere la giusta serenità e chiarezza mentale di dosare delle libertà, sapendo benissimo che queste libertà comporteranno dei problemi: speriamo che non si verifichi quanto accaduto a ottobre, novembre e dicembre», mesi in cui si è verificata la seconda ondata di contagi.
Se da un lato ci sono misure protettive volte a limitare la diffusione del virus, come mascherine e distanziamento, dall’altro l’appello è quello ad una maggiore responsabilità da parte dei cittadini. «Non è sempre responsabilità dello Stato, non siamo dei bambini che abbiamo bisogno che ci sia il ministro della Sanità che ci dice che ci dobbiamo mettere la mascherina», secondo Crepet servono «senso civico» e «responsabilità».
Tra i penalizzati di questa pandemia, ci sono gli studenti, per mesi relegati in casa e costretti a seguire le lezioni a casa. «La didattica a distanza all’inizio, per tante persone, ragazzi, insegnanti, genitori, politici e vari intellettuali, era la manna e alcuni hanno anche sostenuto che in questo modo di impara meglio, ma poi hanno finalmente fatto i conti con la realtà: la didattica a distanza può essere emergenziale» e durare al massimo due mesi, ma poi «uno Stato civile avrebbe dovuto iniziare a prendere le misure di tutto questo».
Lo psichiatra fa notare che si è puntato il dito contro i trasporti pubblici, mentre «per anni i piazzali delle scuole sono stati affollati dalle auto di genitori e nonni che andavano a portare e prendere gli studenti a scuola, ora improvvisamente questo problema non esiste più ed esiste solo quello dei pullman, ma io ho visto un’altra Italia e mi sono battuto» chiedendo di mandare i ragazzi a scuola con i mezzi pubblici, perché «si divertono di più, si incontrano di più».
Insomma per Crepet sul fronte della scuola «è mancata una progettualità: anche se è vero che non si potevano fare assembramenti, si poteva organizzare per i bambini una gita, uno dietro l’altro, a distanza di un metro, non si sarebbe ammalato nessuno», mentre invece «non abbiamo protetto gli anziani nelle Rsa e abbiamo voluto proteggere i bambini che il virus non lo prendono» o lo prendono per lo più in maniera asintomatica.
Una organizzazione che è risultata carente anche sul fronte della vaccinazione, perché come osserva lo psichiatra già in primavera «c’era tutto il tempo per organizzare, sapevamo che sarebbe arrivata la fase due» e lo sguardo di Crepet si volge alla vicina Inghilterra che è riuscita a vaccinare una percentuale «elevata» di popolazione.