ANCONA – Addio a Sauro Marinelli, l’ultimo pescatore del Passetto. Le sue ceneri sono state disperse in mare ieri (3 novembre), alle 10. Ad accompagnare Marinelli nel suo ultimo viaggio, a bordo della Michele II (la barca che accompagnava Sauro a pesca), sono stati i familiari e i parenti più stretti.
La cerimonia è iniziata alle 10, quando due barche e un gommone hanno raggiunto il largo, nello specchio acqueo davanti alla grotta di Marinelli, la numero 77, a due passi dalla Seggiola del Papa.
A ricordare papà Sauro sono i due figli, Mirco e Paola Marinelli: «Di papà mi mancherà soprattutto la luce dei suoi occhi quando mi vedeva. Io vivo a Bologna – spiega la figlia – e lui ha sempre sperato che tornassi ad Ancona. Quando andavo a trovarlo, non mi annunciavo mai, volevo fargli una sorpresa».
«Così, scendevo in grotta, sicura di trovarlo e mi affacciavo dall’uscio. Ho impresso nella mente questa immagine: io che arrivo d’inverno, lo vedo giocare a carte con gli amici in grotta, lo chiamo, lui si gira e mi fa: ˈOh, bimba!ˈ».
Un uomo di mare, Sauro, solo apparentemente «duro, rigido e severo». Uno di quelli che non «diceva ˈti voglio beneˈ a parole, ma lo dimostrava coi fatti. Lui per me c’era sempre – racconta la figlia. È stato un padre meraviglioso e l’attimo di luce nei suoi occhi, quando mi vedeva, emanava tutto l’amore che provava».
Marinelli, nell’intervista concessa al nostro giornale un anno fa, aveva detto: «I miei figli? Fanno tutt’altro, non hanno la passione per la pesca. E mi spiace che una simile tradizione vada perduta». Una frase che alla figlia Paola un po’ è dispiaciuta, come sottolinea lei stessa: «Io a 16-17 anni uscii in barca con lui».
«Ci provai a pescare, ma sono una donna dal fisico esile e non riuscivo neppure a sollevare l’ancora. Quando papà mi disse ˈgetta l’àncoraˈ, giuro che non ci riuscii. Mi disse che ero ˈna molegaˈ (una pappamolle, ndr). Ci mettemmo a ridere e gli dissi che non potevo dedicarmi alla pesca e che, anzi, sarei andata a studiare».
Sorte quasi identica per l’altro figlio, Mirco: «Mi ricordo di quando papà mi portava con lui, d’inverno, a pescare. Avevo 5 anni e col freddo e l’acqua gelida – spiega Mirco – se anche ci fosse stata da parte mia un minimo di voglia, in quelle condizioni me l’avrebbe stroncata» – scherza ricordando il padre. «Mi mancherà tutto di lui, il suo modo di fare, il suo mestiere e il fatto di vederlo a casa, accanto al termosifone, a cucire e a riarmare le reti, come nonno Umberto».
Mirco oggi lavora come tecnico, ha «sempre avuto i cacciaviti tra le mani», mentre Paola è un’affermata psicoterapeuta ed esercita in Emilia Romagna: «In un certo senso, ho scelto qualcosa che ha a che fare coi nodi, anche se non fisicamente – sottolinea Paola. Mi rifaccio infatti all’orientamento (lacaniano) dello psichiatra Jacques Lacan, che parla dell’inconscio facendo riferimento alle nasse e ai nodi. È stato il mio modo di portare avanti la tradizione della pesca». La tradizione di papà Sauro, che con nasse e nodi marinari ci ha condiviso un’intera esistenza.