Ancona-Osimo

Piano faunistico venatorio, i Verdi chiedono il ritiro. Lac annuncia nuovo ricorso al Tar

Lo strumento di pianificazione dell'attività venatoria, del territorio agro-silvo-pastorale e di gestione della fauna non piace alle associazioni animaliste e ambientaliste e nemmeno alla Federazione dei Verdi che contestano numerose irregolarità

Caccia

ANCONA – È un secco no quello che arriva dai Verdi e dalla Lac al piano faunistico venatorio varato martedì dal consiglio regionale. Al centro delle proteste il fatto che lo strumento di pianificazione dell’attività venatoria, del territorio agro-silvo-pastorale e di gestione della fauna, «non sia stato in grado di individuare i valichi di migrazione montani e adottare le misure di tutela previste per l’avifauna migratoria. In palese violazione della normativa nazionale, comunitaria e ad una corretta gestione della fauna selvatica», scrivono i Verdi in una nota stampa.

«Grave anomalia» per i Verdi il fatto che la Regione «ha delegato la sua gestione agli Ambiti Territoriali di Caccia, strutture di diritto privato, dove prevale la componente venatoria e che molto spesso si sono rivelate inadeguate a gestire questo patrimonio», senza prevedere «la presenza di un suo rappresentante con precise funzioni di controllo, mentre in precedenza le province erano presenti nei comitati di gestione».

«Il Piano si limita a confermare l’attuale perimetrazione degli Ambiti Territoriali di Caccia, anche questo aspetto in palese contrasto con la legge statale che prevede ambiti sub-provinciali mentre le province di Fermo e Ascoli Piceno hanno un unico ambito provinciale» spiegano Adriano Cardogna e Marica Bruno cooportavoce dei Verdi Marche che accusano l’assessore alla caccia Moreno Pieroni di non aver «ancora percepito che la conservazione delle specie va di pari passo con la loro gestione». Ma parlano anche di «mala gestione degli Ambiti Territoriali di Caccia» e di «inadeguata applicazione delle misure di conservazione all’interno dei Siti Natura 2000» dove «non sono state previste limitazioni all’utilizzo di munizioni contenenti piombo, alla presenza di appostamenti fissi di caccia, all’esercizio venatorio».

A nostro avviso, trattandosi di aree particolarmente vulnerabili ubicate per la maggior parte lungo la montagna appenninica si doveva quantomeno vietare l’uso del piombo, contenere la presenza dei cacciatori limitando l’accesso ai soli residenti e riducendo sia la durata della stagione venatoria che le giornate consentite.

Insomma per i Verdi ce n’è abbastanza per chiedere il ritiro del Piano Faunistico Venatorio, tanto da aver già messo in mano la questione ad un legale «per verificare il percorso più immediato e veloce per chiedere annullamento dell’atto».

Molto duro anche Danilo Baldini, delegato regionale della Lac, Lega per l’Abolizione della Caccia che contesta alla Regione di non aver recepito «nessuna delle 20 osservazioni presentate dalla Lac e dalle altre associazioni ambientaliste», ovvero Wwf, Lipu, Lupus in Fabula, Lav, Italia Nostra, Enpa e Pro Natura.

Osservazioni che secondo il delegato della Lac non sono state recepite «perché purtroppo i nostri politici, in particolare quelli del Pd, IV, Lega, Forza Italia e FdI, credono ancora che la caccia sia una questione di esclusiva pertinenza dei cacciatori e recepiscono quindi solo le loro istanze e richieste». «Sta di fatto però – prosegue – che, come recita la nostra Costituzione: la fauna selvatica è “patrimonio indisponibile” dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. Quindi la sua tutela è nell’interesse, non solo di tutti i cittadini italiani, compresa quindi la stragrande maggioranza che non va a caccia, ma anche di quelli stranieri, questo perché ad esempio gli uccelli, durante le loro migrazioni, si spostano da una parte all’altra del pianeta per riprodursi o per svernare, per cui non possono essere considerati di “proprietà” esclusiva di uno Stato o di un popolo. Questo spiega il motivo per cui, nella redazione dei calendari e dei piani faunistici venatori, le amministrazioni regionali debbano tenere conto anche delle varie Direttive Comunitarie sulla tutela dell’avifauna migratoria e degli habitat naturali».

Baldini contesta la mancata individuazione degli appostamenti fissi di caccia, dei fondi chiusi e di quelli sottratti alla caccia e
delle aree contigue alle aree protette. Inoltre lamenta anche la mancata individuazione dei valichi montani interessati dalle rotte migratorie dell’avifauna, delle aree percorse dal fuoco e relativi divieti di caccia. «Violazioni di leggi nazionali e mancati recepimenti delle Direttive Europee» che porteranno le associazioni ad un nuovo ricorso al Tar.