ANCONA – «Siamo a terra ma non ci arrendiamo». Nelle parole del presidente Fipe Confcommercio, lo chef stellato Moreno Cedroni, è racchiuso lo spirito della protesta che si è svolta al Passetto di Ancona, ai piedi del Monumento ai caduti, dove una sessantina di imprenditori della ristorazione, provenienti da tutte le Marche, hanno messo in scena una manifestazione silenziosa di protesta contro l’ultimo Dpcm varato dal governo (il 25 ottobre) che impone a bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie e pub la chiusura alle 18.
Vestiti di nero, in silenzio e seduti sulle scalinate del Monumento, dove hanno imbandito l’apparecchiatura di una tavola, quella stessa tavola che non possono più preparare per la cena, gli imprenditori sono rimasti in silenzio, un silenzio interrotto solo dal suono della tromba che ha intonato la melodia dell’Inno d’Italia, dopo aver suonato “Il Silenzio”.
La manifestazione, a carattere nazionale, promossa da Fipe-Confcommercio, si è svolta in 24 piazze italiane e non ha registrato disordini: l’associazione di categoria, per evitare disordini che potessero strumentalizzare la loro protesta, ha comunicato solo all’ultimo il luogo dove si sarebbe svolta la manifestazione. Nella piazza, presidiata dalle forze dell’ordine (polizia, carabinieri e polizia locale) erano presenti circa 200 persone.
«Noi usati come capro espiatorio: non siamo noi il problema», ha dichiarato Moreno Cedroni spiegando che la categoria è «a terra, moralmente e fisicamente. Ci hanno definito attività non importanti e secondarie, quando invece nelle Marche occupiamo nei nostri locali circa 14 mila donne e 10 mila uomini: pensate quante famiglie sono e quanto hanno bisogno di lavorare». Cedroni ha posto l’accento, con amarezza, sul fatto che «dopo quasi 8 mesi dal primo lockdown non veniamo considerati alleati dell’ordine pubblico e non vediamo riconosciuto il nostro valore».
Un lockdown che ha presentato un conto salato alla categoria con perdite intorno ai 16.500 euro. Poi la crisi dei consumi ha fatto perdere ulteriori 7.600 euro, le spese per mettersi a norma altri 300 euro, 600 per l’adeguamento dei dehors ed ora altri 2.100 euro per la chiusura anticipata alle 18: ecco che per una attività la perdita si attesta sui 27.100 euro solo per la crisi. E i risvolti sono anche sul piano occupazionale naturalmente.
Sono almeno 10 mila i posti di lavoro, sui 24 mila totali, a rischio per il settore della ristorazione, dei bar e delle discoteche nelle Marche, secondo la stima della Fipe. Secondo il direttore Confcommercio Marche, Massimiliano Polacco, durante il lockdown sono andati in fumo «5 mila posti di lavoro» e altrettanti ne andranno persi con la chiusura alle 18, dal momento che le imprese della ristorazione non riusciranno più a garantire la stessa pianta organica. Insomma le attività non avevano neanche fatto in tempo a rialzare la testa che è arrivata subito una nuova doccia gelata con le chiusure alle 18 previste dall’ultimo Dcpm.
Nei primi 9 mesi di quest’anno il settore ha perso «poco meno 30% del proprio fatturato, ma solo perché c’è stata una buona estate, che ci ha permesso di stare meglio della performance nazionale» spiega Polacco, precisando che «ora le perdite toccheranno il 70%, perché hanno tagliato di netto tutta l’attività principale sia dei pubblici esercizi che della ristorazione».
Il direttore Confcommercio ha sottolineato l’impegno della categoria nell’adeguarsi e nel rispettare i protocolli impartiti, facendosi anche promotore del rispetto delle misure fra la clientela per questo ha detto «ci saremmo aspettati un riconoscimento diverso», mentre il settore è stato l’unico a essere penalizzato». «Il lavoro – prosegue – non è soltanto quello all’interno delle fabbriche: l’indennità è un atto dovuto, ma vogliamo il riconoscimento della serietà di questa categoria».
Una protesta, quella della Fipe, che Giacomo Bramucci, presidente di Confcommercio Marche Centrali, ha definito «una grande prova di maturità da parte del tessuto imprenditoriale» che ha sempre dimostrato di saper lavorare in sicurezza, ma nonostante questo «si è deciso per una linea più dura, tralasciando settori in cui il contagio è enormemente più diffuso» come quello dei trasporti pubblici.
Ma anche se «oggi è una giornata amara» spiega, c’è «grande speranza perché i nostri imprenditori non si rassegnano a questo scenario e faranno di tutto perché lo spirito imprenditoriale sia di nuovo occasione di ricostruzione per il nostro Paese, così come è stato in tutti gli altri momenti difficili della nostra storia».
Sugli indennizzi di ristoro varati dal governo precisa che «l’imprenditore ha voglia e bisogno di portare il suo apporto alla società: sedersi ad aspettare il sussidio non è qualcosa che possiamo accettare, per cui proporremo di lavorare in sicurezza come abbiamo fatto quando ci è stata data la possibilità di riaprire. Vogliamo continuare a farlo».