ANCONA – «Daniele, Eleonora, Mattia, Asia, Benedetta, Emma. Giustizia per le vittime della lanterna azzurra»: con questo striscione e con tanti altri cartelloni di protesta amici e parenti delle vittime della strage di Corinaldo hanno sfilato stamattina, 25 luglio, per le vie del centro di Ancona per far sentire la loro voce, per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla sentenza di assoluzione decisa lo scorso giugno dal tribunale di Ancona riguardo alle accuse più gravi, quelle di omicidio colposo plurimo e disastro colposo per la strage della discoteca di Corinaldo nei confronti di amministratori e responsabili della sicurezza.
Il corteo s’è ritrovato e formato di fronte al Palazzo delle Marche, prima delle 10.30, e quindi ha cominciato a sfilare per corso Garibaldi, una sosta dopo cento metri, un’altra dopo piazza Roma, quindi in piazza del Plebiscito, sotto alla sede della prefettura, infine in corso Mazzini fino al tribunale, quello che oltre un mese fa ha gettato nello sconforto tante famiglie profondamente colpite in quella notte dell’8 dicembre 2018 alla Lanterna Azzurra di Corinaldo dove persero la vita sei persone e altre 56 rimasero ferite.
Il corteo sfila mostrando la propria rabbia e il proprio dolore, raddoppiato dalla sentenza di primo grado del tribunale di Ancona. Chiede giustizia e lo fa con testimonianze, fotografie al collo, nomi e date, un dolore lungo sei anni che reclama attenzione e una giustizia che non gli ha riconosciuto la sentenza di primo grado. «Giustizia per le vittime della Lanterna Azzurra» è la scritta sulle magliette di molti dei partecipanti al corteo, e poi cartelli e striscioni: «La legge è quasi uguale per tutti», «Da soli ci siamo salvati, da soli ci difenderemo», «Nessuna pena, nessuna pace, giustizia ora», «Gli innocenti nelle bare, i colpevoli liberi», «Sei vittime, nessun colpevole», «Vogliamo giustizia, le regole ci sono e vanno rispettate», «Le nostre voci per chi non può più parlare», «Una sentenza ingiusta è una seconda tragedia», «8-12-2018 il fatto non sussiste».
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Si alza forte il grido di rabbia, e bruciano la testimonianza e i quesiti di chi era alla Lanterna Azzurra: «Sono passati quasi sei anni – racconta una ragazza che era nella discoteca quella notte – sei anni da quando dei ragazzi hanno spruzzato dello spray al peperoncino provocando caos e panico all’interno della discoteca di Corinaldo, la Lanterna Azzurra. Stavo ballando con i miei amici, con Giulia e Benedetta, e che sorriso aveva Benedetta. Poi la paura, il rimanere da sola, non respirare, correre verso l’uscita, attimo dopo attimo. Rimbomba ancora dentro di me, mi tormenta e non mi abbandona, e in quegli attimi dove sentivo i miei ultimi respiri io non c’ero più. Ma per un attimo, per un secondo, una casualità, io ora sono qui. Non trovo pace, né una spiegazione. Perché quel locale era aperto? Perché quel posto non era sicuro ma era frequentato comunque da tantissimi ragazzi? Perché i ragazzi stessi notavano tantissimi problemi ma coloro che dovevano occuparsene hanno omesso tutto? E perché anche se lo hanno fatto a loro non vengono riconosciute le responsabilità più gravi? Perché quel posto dichiarato locale da ballo che non poteva esserlo ha continuato a esistere? Perché è stato permesso tutto ciò? Voi che dovevate parlare, perché non avete parlato? E voi che credete che questo silenzio non valga e non influisca nella tragedia di quella notte, che spiegazione avete? Chi doveva parlare? Chi doveva intervenire? Questa omissione di verità è costata cara. Il problema è che è costata cara ai ragazzi e alle ragazze che quella sera erano lì, alla Lanterna Azzurra, solo per divertirsi. Il 17 giugno giustizia non è stata fatta. E oggi, come quella notte, ci chiediamo ancora: chi ci dovrebbe proteggere? Forse lo dobbiamo fare noi, da soli, per l’ennesima volta. Nessuno ci ha tutelato. Potete decidere di restare in silenzio, ma noi continueremo ad alzare la voce, per tutti i ragazzi che quella sera erano lì, per tutte le famiglie che da cinque anni e mezzo vivono un vuoto incolmabile e inspiegabile».