ANCONA – «Prendiamo atto della decisione inappellabile della Corte Costituzionale, ma continueremo a ricorrere nei Tribunali italiani al fianco delle persone che vorranno accedere all’eutanasia e rendere pubblica la propria storia. Intanto abbiamo costruito nel tempo una forte consapevolezza sul tema per il quale il Parlamento non riesce ancora ad esprimersi». Così Francesca Re, membro del collegio legale che insieme a Filomena Gallo, Massimo Clara e gli altri difensori dell’Associazione Luca Coscioni, stanno assistendo Mario e Antonio, i due marchigiani tetraplegici che hanno chiesto di poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia, per porre fine alle loro sofferenze.
Il legale nel commentare la decisione della Corte Costituzionale, che ha giudicato inammissibile il quesito referendario sull’eutanasia legale promosso dall’Associazione Luca Coscioni, che aveva raccolto a supporto 1 milione e 200mila firme, evidenzia che si è trattato di «un giudizio anticipato di merito più che di ammissibilità del quesito referendario». La normativa italiana, spiega «prevede che non siano ammissibili referendum abrogativi su tre materie tassative (secondo l’articolo 75): leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, e di ratifica di trattati internazionali, ma il quesito referendario per l’eutanasia non rientra in nessuna di queste categorie».
La Consulta ha respinto il quesito referendario perché con l’abrogazione parziale della norma sull’omicidio del consenziente non sarebbe stata preservata la tutela minima necessaria (come previsto dalla Costituzione) della vita umana, non solo in termini generali, ma con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. Francesca Re però fa notare che l’Associazione «ha lavorato a fondo con esperti e giuristi proprio per garantire anche nella formulazione del quesito massima tutela per le persone vulnerabili, escluse dall’abrogazione referendaria».
Il quesito del referendum nel dettaglio prevedeva l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale che disciplina il reato di omicidio del consenziente, ad esclusione di casi ben definiti: in caso di consenso dato da persona minorenne, da persona in condizioni di deficienza psichica o infermità mentale, o con altra infermità, da persona che abusa di sostanze alcooliche o stupefacenti, oppure nei casi in cui il cui consenso sia stato concesso a seguito di minacce, violenze o con l’inganno (casi di omicidio doloso che avrebbero continuato ad essere punti come reato).
L’Associazione Coscioni circa otto anni e mezzo fa, aveva depositato una legge di iniziativa popolare in Parlamento, che tuttavia non è ancora stata discussa, in tal senso il legale osserva che il testo sul suicidio assistito presente alla Camera, rappresenta «un arretramento rispetto ai diritti attualmente garantiti in Italia, sembra un copia e incolla fatto male della sentenza Cappato-djFabo» lamenta, facendo notare che il suicidio assistito «a determinate condizioni è già legale in Italia».
Un testo di legge che «invece di tutelare le persone fragili, come auspica la Corte Costituzionale, e come era nostro obiettivo nel quesito referendario, introduce condizioni più restrittive come la sofferenza sia fisica che psicologica, e obbliga a percorsi palliativi non rispettando la volontà del malato. Per questo auspichiamo che la legge sul fine vita venga modificata sulla base di emendamenti già presentati, altrimenti il rischio è che al caso di Mario, costretto ad attendere mesi prima che le sue condizioni fossero verificate, se ne possano aggiungere altri».
Per quanto concerne il caso di Mario, il 43enne rimasto immobilizzato in seguito ad un grave incidente stradale, l’avvocato spiega che con la definizione del farmaco «ora è tutto nelle sue mani (nelle mani di Mario, ndr), appena lui deciderà di dare seguito al suo diritto di accedere al suicidio medicalmente assistito, renderemo noti ulteriori dettagli circa il percorso. Ma intanto Mario dovrà nominare un proprio medico di fiducia che provvederà alla prescrizione del farmaco e all’assistenza operativa per l’aiuto al suicidio. Tutti gli adempimenti dovuti dal sistema sanitario nazionale sono stati fatti».
Sulla vicenda di Antonio, altro marchigiano tetraplegico che ha chiesto di accedere all’eutanasia, per il quale il Tribunale di Fermo ha disposto la verifica delle quattro condizioni previste dalla sentenza Cappato-djFabo, «attendiamo che venga sottoposto alla verifica, come è avvenuto per Mario».