ANCONA – Israele e Hamas hanno firmato l’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi. Una tregua che arriva dopo lunghi mesi dall’avvio del conflitto. Oggi dovrebbero essere liberati i primi tre ostaggi, dei 33 rapiti il 7 ottobre del 2023. Ad essere liberati saranno anche 1.700 detenuti palestinesi.
Professor Marco Severini, docente di Storia dell’Italia contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, questa tregua sarà davvero rispettata da entrambe le parti coinvolte? «Dopo lunghi negoziati, mediati da Qatar e Stati Uniti, l’accordo tra Hamas e Israele per il cessate il fuoco, con tregua iniziale di sei settimane e liberazione di 33 ostaggi israeliani in cambio di quella di centinaia di prigionieri palestinesi, è stato firmato a Doha e dovrebbe entrare in vigore domenica (oggi, ndr). Il condizionale è legato alla ratifica da parte del governo di Gerusalemme che perderà pezzi all’estrema destra, con i ministri che hanno fatto resistenza e minacciato dimissioni; ma anche alle difficoltà che incontrerà sul medio periodo la determinazione “muscolare”, incentrata sulla paura, del nuovo inquilino della Casa Bianca».
Ritiene che potrà essere duratura? «Sembra una tregua molto fragile, piena di diverse incognite, tra cui spiccano due elementi concernenti i dettagli dell’accordo: il corto circuito creato da Hamas che richiede voce in capitolo; il ritiro di Israele dal corridoio Filadelfia (zona cuscinetto lungo il confine tra Egitto e Striscia di Gaza) inizialmente previsto nella bozza di accordo, poi tolto da Netanyahu fino almeno all’avvio della seconda fase. Nel frattempo, le armi israeliani hanno provocato un’altra ottantina di morti a Gaza dove 467 giorni di guerra hanno determinato l’uccisione di circa 50.000 persone, una sconvolgente crisi umanitaria e l’abnorme cumulo di 42 milioni di tonnellate di macerie. Lo Stato ebraico rimane molto preoccupato su altri quattro fronti internazionali oltre a Gaza: l’Iran, il Libano, la Siria e lo Yemen».
L’elezione di Trump ha influito sul raggiungimento di questa tappa importante? «L’intesa segue il piano elaborato dall’Amministrazione Biden sette mesi fa, con Trump che ha fatto l’ultimo passo per arrivare alla sigla: su quest’ultima ha certamente influito il fatto che gli inviati per la questione Israele-palestinese delle due amministrazioni statunitensi (Brett McGurk per quella uscente e Steve Witkoff per quella entrante) abbiano potuto lavorare nelle ultime settimane in piena sintonia. Negli States le tensioni restano all’ordine del giorno: Trump ha minacciato di azzerare tutti i dipendenti della Casa Bianca (compresi i carrieristi), Biden ha fatto il suo ultimo discorso dallo studio ovale, mettendo in guardia dalla deriva della oligarchia tech e dicendosi preoccupato per i diversi problemi sul campo: dalle insidie circa la disinformazione (rinuncia al fact checking resa nota da Meta in favore di un modello simile a quello di X di Musk, basato sulle “community notes”) alla tutela della libertà delle istituzioni democratiche, fino ai pericoli derivanti dal cambiamento climatico».
Quale il ruolo dell’Italia nella ricostruzione e nella vigilanza dei confini? «Secondo il ministro Crosetto, l’Italia, che ha 7.000 soldati dislocati nelle aree mondiali di rischio, potrà svolgere un ruolo al tavolo di pace e nella delicata ricostruzione di quanto distrutto, ricostruzione che secondo alcune analisi potrebbe durare fino al 2040. Gli Stati Uniti hanno chiesto al nostro Paese di formare le forze di polizia del futuro Stato palestinese: se questo avverrà ci troveremo in un un nuovo ordine internazionale, sicuramente più stabile rispetto a quello attuale, percorso da troppi scossoni. Non dimentichiamoci dei 56 tra guerre e conflitti che oggi devastano il pianeta, il numero più alto raggiunto dalla fine del secondo conflitto mondiale».