ANCONA – L’economista Mauro Gallegati professore dell’Università Politecnica delle Marche è tra i firmatari di ‘The Economic Conditions for the Peace’, la lettera-appello pubblicata sul Financial Times il 17 febbraio. L’iniziativa è stata promossa dagli economisti Emiliano Brancaccio (Università del Sannio) e Robert Skidelsky (Warwick University) ed è stata sottoscritta anche da altri autorevoli esponenti della comunità accademica internazionale, tra i quali proprio il professor Gallegati, che collabora con il premio Nobel Joseph E. Stiglitz.
Un appello che arriva ad un anno dall’invasione russa dell’Ucraina e che chiede di creare le condizioni economiche per la pace. «Nulla sembra indicare che i venti di guerra si stiano affievolendo. Perché la guerra continua? Perché le tensioni militari aumentano a livello globale? – si legge nella lettera – . Noi respingiamo la tesi di uno ‘scontro di civiltà’. Piuttosto, occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute. Uno dei principali guasti dell’attuale sistema mondiale risiede nello squilibrio delle relazioni economiche ereditato dall’era della globalizzazione deregolata. Ci riferiamo alle posizioni nette internazionali, in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari altri Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero».
Secondo gli ecomomisti «l’implicazione di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni: una centralizzazione del capitale in mani orientali. Per contrastare questa tendenza, da diversi anni gli Stati Uniti e i loro principali alleati hanno abbandonato il loro precedente entusiasmo per il globalismo deregolato e hanno adottato una politica di ‘friend shoring’: una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato. Anche l’Unione Europea si è unita a questa svolta protezionista guidata dagli americani».
«Se la storia insegna qualcosa – prosegue l’appello -, queste forme scoordinate di protezionismo esacerbano le tensioni internazionali e creano condizioni favorevoli a nuovi scontri militari. Il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche. Per avviare un realistico processo di pacificazione, è oggi dunque necessaria una nuova iniziativa di politica economica internazionale».
Per i firmatari «occorre un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del ‘friend shoring’, mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio. Siamo consapevoli di evocare una soluzione di ‘capitalismo illuminato’ che venne delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica. Ma è proprio questo l’urgente compito del nostro tempo: occorre verificare se sia possibile creare le condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni militari raggiungano un punto di non ritorno».