ANCONA – Ultimati con la fine di giugno i lavori di messa in sicurezza della falesia del Cardeto. Un intervento molto complesso e tecnico durato oltre cinque anni, che ha richiesto anche l’utilizzo dell’elicottero per il trasporto dei materiali. L’intervento è stato possibile grazie a fondi del ministero dell’ambiente che nel 2019 sono stati trasferiti alle Regioni, e dunque anche alla Regione Marche, per la pianificazione del rischio idrogeologico. Le Regioni hanno successivamente individuato degli enti cosiddetti attuatori per la realizzazione degli interventi e uno ha riguardato proprio il Comune di Ancona con la falesia in questione e l’intervento denominato «Opere di tutela ambientale della falesia di Ancona – Messa in sicurezza tratto zona Cardeto». Un intervento che è stato descritto stamattina in conferenza, alla presenza dell’assessore Daniele Berardinelli – assente Stefano Tombolini – e di altri attori di quest’operazione, un intervento definito unico, in ambiente montano e marino nello stesso tempo, ma inserito anche in un ambiente urbano, frequentato e antropizzato, che ha richiesto una sinergia tra i tanti attori, compresa la Marina Militare da cui transitavano i mezzi per l’area del cantiere. L’opera, tra l’altro, ha permesso anche la riapertura dello stradello della Grotta Azzurra, nelle scorse settimane, e dunque il libero accesso alle tante grotte che si trovano in quella zona.
«Festeggiamo la fine dei lavori sulla falesia del Cardeto – ha spiegato Daniele Berardinelli –, con orgoglio finalmente dopo cinque anni la annunciamo, un’opera realizzata in un luogo non certo semplice dove intervenire. Un intervento svolto grazie anche alla collaborazione dei grottaroli di Ancona, per cui abbiamo cercato di limitare il disagio e di riaprire in certi periodi l’accessibilità alle grotte».
La parte tecnica dell’intervento è stata spiegata da Stefano Capannelli, ingegnere del Comune di Ancona: «Sono stati lavori non così abitudinari nelle nostre zone, lavori complessi, per 2,6 milioni di euro, svolti spalla a spalla con Regione Marche grazie a questo finanziamento. L’ingresso del cantiere era nell’area della Marina, abbiamo fatto lavori con l’elicottero, sono state necessarie autorizzazioni del porto, del parco, una palestra per tutti».
Riccardo Picciafuoco, architetto, per il Parco del Conero ha aggiunto: «Siamo tutti molto contenti che la filiera istituzionale abbia funzionato e quando funziona le cose si fanno bene. Un’opera di rilevanza significativa non solo per la complessità, ma per la rilevanza paesaggistica, storico-ambientale. L’ente Parco è stato coinvolto in particolare perché questa falesia è anche un ecosistema, non solo una falesia geologica, e il contributo del parco è stato proprio quello di cercare di suggerire interventi per quanto riguarda l’apparato vegetazionale che non è solo salvare qualche specie ma perché quell’ambiente produce un ecosistema unico e specifico. Un intervento che può aiutarci ad andare in direzione di un assorbimento della zona del Cardeto all’interno del Parco del Conero».
Gli aspetti strettamente tecnici sono stati illustrati da Osvaldo Cargnel, ingegnere bellunese e progettista dell’intervento che ha spiegato tutte le difficoltà dell’operazione, dai lavori effettuati su un tratto di falesia di circa 120 metri al monitoraggio continuo che è stato effettuato e che continuerà a essere effettuato per tenere sotto osservazione la falesia. Una rupe che ha richiesto diversi tipi di protezione, come reti, chiodature, barriere paramassi, fascinature rinforzate, ma anche operazioni di cosiddetto disgaggio, cioè il parziale distacco di materiale roccioso reso indispensabile proprio per la messa in sicurezza della falesia stessa.