Ancona-Osimo

Vaccini e privacy, le indicazioni del Garante sul luogo di lavoro. Critico l’avvocato Canafoglia: «Così diritti prima dei doveri»

I dati relativi alla vaccinazione contro il covid , essendo sanitari, vanno sempre tutelati. Il Garante ha chiarito che il datore di lavoro non può chiedere né dati sullo stato vaccinale né l'elenco dei vaccinati

ANCONA – Il datore di lavoro non può chiedere ai suoi dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti comprovanti l’avvenuta vaccinazione contro il covid e di conseguenza tantomeno chiedere di esibire il green pass, il cui arrivo in Italia è previsto dal 15 giugno (mentre quello europeo dal primo luglio). È quanto emerge dalle indicazioni pubblicate sul sito del Garante per la protezione dei dati personali.

Un tema spinoso e molto dibattuto, che da un versante vede schierato chi ritiene che lo stato vaccinale incidendo sulla probabilità di contrarre e trasmettere il covid non sia un fatto privato, e chi invece ritiene che essendo legato salute non debba essere divulgato.

Con la campagna vaccinale che procede di buona lena, sono molte le persone che hanno dubbi sulla condivisione di questo tipo di informazioni sul posto di lavoro, tra colleghi e tra datore e dipendenti. Ma il Garante è chiaro, si tratta di informazioni che il datore di lavoro non può chiedere.

Nessuna deroga dunque per quanto concerne lo situazione emergenziale, dal momento che i dati sanitari per il legislatore europeo vanno sempre tutelati in termini di privacy. Informazioni, quelle sulla vaccinazione, che non possono essere “scambiabili” neanche in caso di consenso dei dipendenti.

Alla stessa maniera il datore di lavoro non può chiedere al medico competente l’elenco dei vaccinati. Secondo il Garante solo il medico competente può trattare i dati sanitari dei lavoratori e le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica. In pratica il datore di lavoro può acquisire solo i giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati.

La vaccinazione contro il covid non può costituire un requisito per accedere a determinate mansioni di lavoro. «Solo il medico competente – si legge nelle indicazioni – , nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti».

Il datore di lavoro «dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore». Una norma che si scontra con l’applicazione dell’obbligo vaccinale imposto sul personale che opera in sanità.

Il parere del legale

Canafoglia
Avvocato Canafoglia

«È uno strano Paese il nostro – spiega l’avvocato Corrado Canafoglia, legale che è stato protagonista di numerose vertenze di lavoro – i diritti vengono prima dei doveri e si trova sempre qualcuno pronto ad assumere posizioni spesso più dettate dalla volontà di protagonismo che dal capire la realtà dei problemi».

Secondo il legale, «con tale posizione si rende difficoltoso l’operato dei datori di lavoro che vogliono applicare la legge relativa all’obbligo vaccinale», ma «è evidente che tra la legge e il parere di una autorità prevale la legge., anche se è facile prevedere che grazie a questo provvedimento potrebbero aprirsi degli scontri che potrebbero andare a discapito della fluidità operativa e della sicurezza sul posto di lavoro».