ANCONA – Simone Subissati è l’architetto anconetano che con tre progetti realizzati dal suo studio, insieme a quello dell’ingegner Domenico Lamura, concorre a “The Plan Award 2022”, premio internazionale e annuale in architettura, interior design e pianificazione urbana. I tre progetti sono la nuova sede dell’istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine, nell’ex palazzina direzionale di Fincantieri che si trova di fianco all’ex istituto nautico, il centro polifunzionale del Sacro Cuore in via Maratta, e una scuola senza corridoi a Sirolo.
Quando saranno realizzati e completati i tre progetti?
«Lo studio Lamura con cui collaboriamo conosce meglio di me certi aspetti che riguardano le tempistiche e gli iter burocratici. Io mi sono concentrato sulla mia materia e sulla progettazione. Posso dire che al Sacro Cuore i lavori dovrebbero concludersi nel 2023 e nella prossima primavera ci potrebbe essere già una parziale apertura».
Una bella soddisfazione essere finalisti per The Plan.
«Siamo molto contenti, è un attestato di valore, specie per progetti che stanno nascendo in provincia e che vengono messi a confronto con altre realtà di tutto il mondo. Stiamo provando a fare qualcosa di bello e utile, ma soprattutto utile. Oltre a essere dei contenitori per le funzioni che svolgono, dovrebbero essere anche dei segni che guardano più in là, verso una città che funziona, da usare, da vivere. Sicuramente la scuola e il centro polifunzionale, ma anche la nuova sede Cnr al porto antico che, secondo la visione dell’attuale direttore Gian Marco Luna, vuole in qualche modo essere una sede aperta alla città, alle visite degli studenti, un segno tangibile di bellezza che ospiti eventi e mostre. E questo progetto è fondamentale in quanto, oltre ad essere il primo edificio del waterfront, il primo visibile dopo l’Arco di Traiano, sarà anche il primo edificio in disuso ad essere rigenerato, rivitalizzato, dell’intero waterfront. Capofila, quindi, che darebbe il là a un lavoro da proseguire».
Parlando di porto: qual è la sua idea di waterfront, in generale, e nello specifico quella applicabile alla città di Ancona?
«I due concetti non si possono disgiungere, ogni contesto ha le sue peculiarità e porta a una risposta diversa. Parlando di Ancona dico cose in parte scontate, ma proprie del cittadino di buon senso. Ancona deve riappropriarsi del mare, della sua apertura alla città, della sua accessibilità, come ben previsto anche da un programma in essere dell’attuale amministrazione. Ma il tema del porto non può essere disgiunto da quello della gestione della città in generale. Il waterfront funziona se Ancona funziona, è un tassello che dipende e fa da riflesso ad altro. Se Ancona avrà la capacità di essere un polo d’attrazione per investitori, visto che viviamo in un sistema che si regge su investimenti privati, il porto ne beneficerà, come la città stessa e i suoi abitanti. Perché il waterfront ha bisogno di persone che ne usufruiscano, deve attirare gli anconetani ma anche gli abitanti dei comuni limitrofi, quelli del resto della regione e i turisti. E’ fondamentale che su Ancona si torni a investire».
Tutto bello o anche qualche problema?
«Troppi servizi nel corso dei decenni scorsi sono stati portati lontani dal centro, compresi i centri commerciali. Ma questo riguarda centinaia di città, si decentra e poi i centri storici soffrono. Inoltre c’è in progetto la realizzazione di banchine per ospitare le grandi navi al porto antico, in prossimità di Fincantieri. E quello del cosiddetto lungomare nord, la passeggiata dal porto turistico verso Torrette: ciò che temo sono ulteriori interramenti e la modalità con cui verrebbero fatti».
Si spieghi meglio.
«Ancona è una città unica, per la sua conformazione, e la amiamo tutti per questo, sul mare ma non solo, su una falesia, su un promontorio. Nella seconda metà del Novecento la città è stata distanziata sempre di più dal mare. Dall’attuale imbocco del porto fino alla Mole e al Mandracchio ci sono centinaia di metri che non c’erano. Ciò che ho intravisto in qualche proposta per il lungomare nord mi ha lasciato perplesso. Sembra che per realizzare questa passeggiata occorra guadagnare ancora tanti metri di terra dal mare. Ma soprattutto questo vale per le paventate nuove banchine lato Fincantieri, sotto la falesia del Guasco. Non è solo una questione paesaggistica, ma sarebbe proprio uno stravolgere l’identità della città. Nonché una decisione in controtendenza rispetto a quello che succede in altre parti del mondo ma anche in Italia, vedi Genova. La cifra di Ancona è il suo essere ‘città falesia’. Un buon progetto dovrebbe tenerne conto, quindi eventualmente spero, se proprio occorre, in una vera sola ‘banchina penisola’ e non in ulteriori interramenti, quelli realizzati sono già abbastanza».
Ci sarebbero alternative?
«Bisogna trovarle. Vedo le foto d’epoca di Ancona che era sicuramente più bella quando sotto Porta Pia c’era il mare. Non sono un nostalgico. Un progetto attento e sensibile potrebbe mettere d’accordo tutti i vari aspetti, d’altra parte il mio lavoro consiste proprio nel trovare soluzioni, che siano geniali o meno ma che concorrano a questo. Il futuro e il benessere della città si giocano anche sul waterfront. Dal punto di vista turistico Ancona ha potenzialità inespresse che costituiscono una chance da giocarsi, negli anni a venire, proprio sul waterfront».
Di cosa ha bisogno Ancona, secondo la sua visione?
«Deve attirare gente in centro, perché ci sono posti bellissimi che hanno poche città di media dimensione, e tanti di questi luoghi sono spesso vuoti. Ancona non attrae e invece deve riuscire ad attrarre. E il waterfront è un’occasione, ma bisogna scongiurare il rischio che diventi l’ennesimo posto bellissimo e disertato, tramite una sintesi di intrattenimento, cultura ed economia. E poi serve mettere in relazione il porto antico con il centro storico. Ancona paga lo scotto di avere il suo centro vitale che non coincide con quello storico bensì con il suo sviluppo di fine Ottocento e novecentesco. Auspico che il Guasco si rivitalizzi ulteriormente e che in futuro si possa mettere in relazione il quartiere con il porto antico attraverso una passeggiata, un’idea di cui si parla da tempo».