ANCONA – Sono 230 gli hospice in Italia, dei quali 7 nelle Marche. Sono questi i dati dell’ultima stima effettuata dalla Federazione Cure Palliative. Nati sulla spinta dei finanziamenti stanziati dalla legge Bindi del 1999, gli hospice si sono affermati come l’espressione più qualificata delle cure di fine vita. Dopo il focus sulla struttura di Loreto, ecco quello su San Severino Marche. In apertura un’intervista al presidente dell’ordine dei medici della Provincia di Ancona, Fulvio Borromei.
Borromei, oggi gli hospice rappresentano l’espressione più qualificata nell’ambito delle cure palliative. A che punto siamo nelle Marche? Le strutture sono adeguate rispetto al fabbisogno?
«Porre la domanda se gli hospice rappresentano l’espressione più qualificata nell’ambito delle cure palliative a mio avviso sposta il baricentro della questione. Questo perchè gli hospice rappresentano uno dei momenti di un percorso più ampio del prendersi cura: la palliazione la si applica e la si deve applicare possibilmente nell’ultimo anno di vita del paziente ammalato di una affezione che irreversibilmente lo conduce alla morte. Dunque, se partiamo da questo presupposto, dobbiamo perseverare affinchè la palliazione la si possa applicare sia nei vari reparti dove il paziente transita e alberga sia, soprattutto, nella propria casa, nel proprio habitat quotidiano. All’hospice competono solo piccoli tragitti o fasi di aggiustamento di una situazione clinica che per vari motivi non può essere realizzata nella propria casa (difficoltà ambientali, momento difficile della famiglia, dolore non ben controllato ed altro). È indubbio che i professionisti che lavorano in hospice hanno una grande occasione di crescita professionale, umana, etica e deontologica. Quest’ultima li posiziona come componente altamente qualificata, ma questa indubbia qualità professionale non può essere confinata in questo ambito, deve fare da tutoraggio a tutto il resto dei corpi professionali, travasandosi su di loro, in particolare nel territorio».
Come sono cambiate le cure palliative dopo l’approvazione della legge 38 del 2010, e successivamente con l’inserimento nei nuovi Lea?
«In questo ambito c’è bisogno di un attento lavoro di inclusione della medicina generale (di famiglia), che per le sue specifiche professionalità è particolarmente adatta a rappresentare la filosofia del prendersi cura in quanto è la depositaria della conoscenza e della fiducia del cittadino/paziente. Quindi a questa figura compete il vero coordinamento di ciò che avverrà nella casa del proprio assistito. Solo in questo modo si potrà a mio avviso realizzare quanto previsto dai LEA. Questo inserimento è stato veramente importante. Certamente l’approvazione della legge 38/2010 ha rappresentato e rappresenta un momento legislativo ed etico alto. I professionisti che attualmente se ne occupano si stanno impegnando a diffondere i suoi contenuti. Molto lavoro è stato fatto ed altro ce ne sarà da fare. Questa legge a mio avviso va anche migliorata nel tempo perchè questo grande compito va affidato a tutti i medici clinici e non solo ad una parte di essi includendo meglio la Medicina Generale e la Medicina interna».
Quali sono i nodi da sciogliere per garantire un’assistenza adeguata ai malati terminali?
«Per garantire una completa ed adeguata assistenza ai malati terminali si deve veramente fare rete e fare comunità, cercando di realizzare sia i dettami della legge 38, che permette ai professionisti di dedicarvisi con serenità e tempo clinico adeguato, uscendo a volte da rigidi schemi temporali per assistito (sicuramente necessari per una adeguata organizzazione), ma non sufficienti a concretizzare il dettato etico-clinico. In questa rete anche il volontario ha un ruolo importante ed attivo e con esso si fa realmente comunità. La legge 38 e la filosofia del prendersi cura permettono a tutti (professionisti e cittadini) di realizzare quella rivoluzione etica indispensabile per una nuova alleanza terapeutica medico/paziente e altre professioni sanitarie e ci evidenzia un nuovo modo di affrontare la malattia, le relazioni e la vita nella sua interezza».
Ritiene sia importante un progetto di coordinamento nella rete degli hospice?
«Visto che le sue domande riguardano gli Hospice in prevalenza, ritengo che un loro coordinamento sia importante e utile sia dal punto di vista professionale che culturale, ma deve essere un coordinamento duttile e propositivo dove le differenze devono rappresentare una risorsa da usare per un unico obiettivo».
Che rapporto c’è tra cure palliative erogate all’interno di un hospice e quelle domiciliari?
«Se gli hospice si inseriranno nella rete delle Cure Palliative in questo modo saranno forieri di progresso civile e professionale e potranno meglio rispondere a quel fabbisogno di salute che non può solo essere calcolato con il numero dei posti letto. Nelle Marche si è avviato e realizzato un buon cammino però non dobbiamo abbassare la guardia perché c’è ancora molto da fare. L’Ordine dei Medici di Ancona e la FNOMCeO si stanno impegnando perché quanto contenuto nella legge 38 si realizzi e si concretizzi ma anche per migliorarla in senso inclusivo ed estensivo».
IL MODELLO DI SAN SEVERINO MARCHE
Dodici stanze, equipe specializzata e numerose attività centrate sulla persona. Una struttura che accoglie pazienti terminali oncologici e affetti da patologie neurodegenerative.
«Alla base della cura nell’’hospice ci sono le persone, il loro vissuto, la loro storia. Non si può curare ciò che non si conosce». È riassunto nelle parole di Sergio Giorgetti, responsabile della struttura, lo spirito che anima l’hospice di Severino Marche. Inaugurato nel marzo del 2009, è stato progettato sulla spinta della Legge Bindi del 2000 ed è ospitato all’interno dell’Ospedale di San Severino Marche. Nelle 12 stanze i malati terminali affrontano il loro ultimo tratto di vita, circondati dall’affetto dei loro familiari e seguiti da personale specializzato. L’equipe, composta da medico dedicato, infermieri, psicologo, OSS, fiosterapista e volontari, è affiancata anche da aromaterapeuta e musicoterapeuta.
Le terapie palliative sono integrate dalla “terapia della dignità” che si prefigge l’obiettivo di «restituire dignità alla persona in modo che la sofferenza abbia un senso – spiega Sergio Giorgetti – attraverso la “fototerapia”, guardando le immagini del passato viene ricostruita la vita delle persone, poi ci sono i racconti di viaggio, le attività manuali artigianali e la proiezioni di film. In progetto danza terapia e corsi di yoga per ospiti ed equipe specialistica».
Un reparto umano che va oltre la medicina, dove vengono accolti non solo pazienti terminali oncologici, ma anche affetti da Cardiomiopatia Dilatativa, Aids e da patologie neurodegenerative terminali come la Sclerosi Laterale Amiotrofica, la Sclerosi Multipla e la Creutzfeldt-Jakob (una forma di encefalopatia). La Fondazione “L’Anello della Vita” – sottolinea Sergio Giorgetti – ha contribuito fattivamente alla realizzazione e al miglioramento del nostro hospice, attraverso donazione di arredi, acquisto di macchinari e organizzazione di corsi di formazione per personale medico-sanitario e volontari».
«L’Hospice di San Severino è il classico esempio che quando pubblico e privato si uniscono in un rapporto virtuoso le cose funzionano», spiega Francesco Rapaccioni, presidente della Fondazione. «Inoltre, le persone hanno modo di verificare dove vanno effettivamente a finire le loro donazioni». L’attività della Fondazione si sostiene attraverso la generosità delle donazioni, le attività di raccolta fondi e il 5 per mille.
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