Nonostante i progressi ottenuti negli ultimi anni, le disuguaglianze di genere permangono nel Paese. Emerge nell’ultimo report dell’Istat ‘Benessere e Disuguaglianze in Italia’. I progressi riguardano soprattutto l’ambito educativo e culturale per le donne, certifica l’Istat, e infatti una giovane donna su tre, nella fascia d’età 25-34 anni è laureata contro un uomo su quattro. Non solo le donne brillano di più nei percorsi di istruzione dove ottengono migliori risultati, mostrano meno abbandoni e competenze più elevate.
Eppure continuano a essere penalizzate nel mercato del lavoro e nella conciliazione dei tempi di vita: il tasso di occupazione femminile è significativamente più basso (56,5% contro 76%degli uomini), mentre sono più elevati sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro (18% contro 12,3%), sia l’incidenza del part-time involontario (15,6% contro 5,1%). Anche gli indicatori relativi alla qualità del lavoro segnano una migliore condizione maschile: tra gli uomini sono meno numerosi i lavoratori che percepiscono insicurezza lavorativa (3,7% contro 4,7% delle donne).
Le difficoltà di inserimento sul mercato del lavoro espongono le donne anche ad un maggiore rischio di vivere in
famiglie povere, che tocca il 20% delle donne contro il 17,8% degli uomini, o di vivere in condizione di grave
deprivazione materiale (5%; 4,5%). Poi c’è il tema della sicurezza: gli uomini sono più frequentemente vittime di rapine (2,3 contro lo 0,6 per 1000 abitanti) e omicidi (0,7 contro lo 0,4 per 100mila abitanti). Al contrario le donne più spesso percepiscono insicurezza quando camminano al buio: se quasi tre quarti degli uomini si sentono sicuri a camminare da soli quando è buio nella zona in cui vivono (72,4%), le donne sono solo poco più della metà (52,1%).
Tutti gli indicatori relativi alla presenza femminile nelle posizioni di rappresentanza politica e ai vertici delle istituzioni segnalano un persistente divario di genere, che appare particolarmente elevato se si considerano le posizioni apicali degli organi decisionali (solo il 21,3% di donne ricoprono queste posizioni) e gli organi politici locali (solo il 24,1% di donne). Anche nel Parlamento italiano la presenza femminile si ferma al 33,7%, mentre, grazie alla spinta degli interventi normativi in materia, sale al 43,1% nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.
Il maggior tasso di istruzione delle donne rappresenta un fattore di potenziale riduzione in futuro di questa disparità se accompagnato da strumenti di sostegno alla conciliazione dei tempi di vita. L’investimento femminile in formazione dei decenni passati fa sì che anche tra gli adulti si osservi un vantaggio femminile: tra i 25-64enni è infatti più elevata la quota di quante hanno conseguito almeno il diploma (68%; 62,9% per gli uomini). Le donne fruiscono più degli uomini (14% contro 10,7%) delle biblioteche. Il maggiore investimento in istruzione si traduce anche in una maggiore presenza femminile tra i lavoratori della conoscenza (24%; 14,9%) e nelle occupazioni culturali e creative (3,7%; 3,3%).
L’Istat accende anche i riflettori sulla quota di Neet, ovvero di donne giovani che non sono né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione e che rappresentano un 17,8% contro il 14,4% di giovani uomini.
E gli adolescenti come vivono il concetto di parità di genere? «Il tema è quello del rispetto verso sé stessi, sia in termini maschile che femminile – dice la dottoressa Francesca Mancia, psicoterapeuta dell’età evolutiva -: nel momento in cui c’è rispetto verso sé stessi c’è la capacità di pensare che l’altro possa avere lo stesso tipo di bisogno».
L’esperta evidenzia oggi l’esistenza di «un femminile tripartito» tra «un femminile molto competitivo che accede agli studi e alle collocazioni professionali di dirigenza con grande determinazione perché ha saputo cogliere ciò che è stato seminato dalle generazioni precedenti», un «femminile che vuole mettere insieme la vita professionale con quella familiare. vuole occuparsi di natura, di corretta erogazione dei servizi di aiuto, di pari opportunità» e infine «un terzo tipo di femminile che sta crescendo in una logica di sottomissione al maschile, saltando tutti gli aiuti e le agevolazioni culturali che possono giungere ad una donna».
La psicoterapeuta evidenzia «un sommerso, un femminile che cresce nella logica delle bande e del bullismo al femminile, in una logica in cui ci si concepisce come femminile che fa parte di una gang sottomessa al volere del capobanda o del maschile, come se non ci fosse una cultura Europea sufficiente a dare una linea di indirizzo».
Le agenzie formative ed educative hanno un ruolo importante, per questo gli specialisti cercano «di intercettarle. Esiste una trasformazione culturale di terza generazione tipica negli extra comunitari nei minori non accompagnati e nei giovani stranieri che non trovando una collocazione adeguata di integrazione reale ed effettiva si rivolgono a culture piuttosto retrograde dove il femminile ripiomba in una condizione pressoché medievale». Servono «reti di supporto per riuscire ad entrare in questo sistema che sta evolvendo e dando origine a tante situazioni che vediamo nelle cronache e che vedono alcuni tipi di femminile soccombere quasi metaforicamente nel lavoro e nella famiglia».